Qual è il senso della vita?
Voglio affrontare una domanda che è ricorrente nell'adolescenza e in alcuni momenti della propria vita, solitamente in momenti difficili o verso la fine dei propri anni: la domanda sul senso della vita.
È una domanda classica e credo dipenda dal modo in cui funziona la mente umana. Userò un approccio analitico per comprendere in modo chiaro la domanda e i suoi concetti e mostrerò un errore di fondo la cui conseguenza consiste nell'abbandonare quella domanda per focalizzarci su un aspetto più pratico della nostra vita.
Concetto di vita
Il concetto di vita è piuttosto generico, può essere inteso come l'intera biosfera, cioè tutte le creature viventi, oppure la vita della sola specie umana, oppure la nostra singolare esistenza. È possibile spingere il concetto su un livello più generale o più specifico fino a considerare la vita di ciascuno di noi.
Ritengo che l'interpretazione più appropriata sia considerare il concetto di vita come la nostra personale vita. Infatti, se chi si pone quella domanda, trovasse un senso, anche particolarmente bello per la specie umana, ma solo per la specie, scoprendo che ogni individuo è soltanto un mezzo "usa e getta" per raggiungere quello scopo e dunque la singola vita umana non avrebbe un senso per se stessa, è facile immaginare che costui resterebbe deluso.
Non è impossibile che qualcuno ponga la domanda per semplice curiosità, accettando imparzialmente ogni tipo di risposta, ma verosimilmente chi se la pone è stato sollecitato proprio da qualcosa che è accaduto nella sua stessa vita. Quindi è in questo modo che intenderò il concetto di vita e che ritengo si debba intendere in queste circostanze.
Concetto di senso
Il concetto di senso è chiaramente più astratto, ma nasce con la quotidianità umana. Esso è strettamente connesso ai nostri bisogni e a come progettiamo tante azioni o tanti strumenti per soddisfare quei bisogni.
Facciamo qualche esempio: che senso hanno le case? Per ripararci dalle intemperie e custodire le nostre cose; che senso hanno i cellulari? Per comunicare a distanza e velocemente, per fruire di molte informazioni e intrattenerci nei modi più vari; che senso hanno le strade? Per rendere facili gli spostamenti sia a piedi che su veicoli con ruote; e via dicendo.
Non bisogna perdere di vista il contesto in cui nasce il concetto di senso, se notiamo, le case, i cellulari, le strade e l'elenco potrebbe essere lunghissimo sono tutte cose artificali. Le abbiamo costruite noi e per forza l'abbiamo fatto per qualche motivo che sarebbe appunto il loro senso.
Errore di contesto
Se si perde di vista il contesto artificiale, è facile finire per porre la domanda in un contesto naturale. Per esempio: che senso ha la pioggia? che senso ha il sole? o che senso hanno gli animali? Potremmo rispondere: per irrigare, per scaldarci, per nutrirci o avere forza lavoro animale. Però, sarebbe una forzatura guidata dai nostri bisogni, dobbiamo distinguere il concetto di uso (l'uso che noi facciamo di quelle risorse, in qualche caso anche violento o sconsiderato) dal concetto di senso.
Questo errore di contesto è probabilmente facilitato dalla nostra naturale tendenza ad antropomorfizzare, ovvero a trasferire caratteristiche umane verso entità non umane. Si pensi alla quasi immancabile deizzazione delle forze naturali nelle popolazioni antiche (o anche meno antiche): il dio del sole, dei fulmini, del vento, ma anche il dio della guerra o dell'abbondanza.
Per le cose artificiali che abbiamo creato noi, certamente noi possiamo rispondere. Ma per le cose naturali che non abbiamo creato noi, non possiamo dire che senso abbiano. Semplicemente non lo sappiamo. Dovrebbe rispondere chi le ha create, ammesso siano state create da un essere con una qualche sorta di coscienza.
Autorivolgersi la domanda
Tra le tante cose naturali ci siamo anche noi. Infatti, si finisce per porre la domanda sull'uomo e la donna stessi. Ma questo sarebbe lo stesso errore di prima, non possiamo applicare la domanda che senso a "x" se "x" non è artificiale.
Circoscritto l'ambito di applicazione del concetto di senso e compreso che serve un umano che abbia fatto qualcosa per uno scopo, che solitamente fa capo ai suoi bisogni fisiologici o relazionali o culturali o di altro genere, è chiaro che serve un essere cosciente e dotato di intenzionalità per fare cose sensate.
Per questo ciò che fanno gli umani può avere un senso e ogni altra cosa naturale non ha un senso umano, compresi noi stessi. Se siamo atei potremmo più semplicemente concludere che non hanno un senso affatto, né umano né di qualsiasi altro genere.
Ipotesi di un creatore delle cose naturali
Non possiamo comprendere un ipotetico creatore
Essere atei implica comunque una certezza su un tema sfuggente da indagare. Proviamo a ragionare anche nell'ipotesi che una coscienza universale abbia creato tutte le cose naturali per uno o più scopi. Emergono dei problemi.
Il primo problema sarebbe la diversità tra la nostra intenzionalità e quella di un essere di un ordine completamente diverso dal nostro. Banalmente un cane non capirà mai la matematica così come gli umani possono capirla (e spesso faticano pure tanti umani), eppure c'è anche tanta similitudine tra umani e cani: capiamo le emozioni del cane, il cane comprende molti nostri comandi, si può instaurare un rapporto che coinvolge le emozioni di entrambi, ecc. Nonostante tante interazioni di successo resta una differenza di comprensione della realtà e delle astrazioni enorme.
Se non vogliamo escludere che possano esistere speciali esseri coscienti, probabilmente di una natura diversa da quelle che ci possiamo immaginare, con buona probabilità non sembra esserci speranza di comunicazione, saremmo così diversi che anche esistesse una risposta (al senso della nostra esistenza) non potremmo mai capirla, il tentativo potrebbe somigliare all'insegnare genetica ad una formica. Non si può. Questo è il primo problema.
Non abbiamo mai certezze sull'identità di un ipotetico creatore
C'è un secondo problema. Se un essere del genere trovasse il modo di interagire con noi e ci fosse un minimo di comunicazione di successo, come potremmo essere sicuri che sia chi dice di essere e non un impostore? Magari una civiltà aliena tecnologicamente avanzata potrebbe realizzare effetti speciali su scala planetaria e spacciarsi per una divinità delle nostre religioni. Oppure potremmo noi trovare il modo di comunicare con esseri coscienti che vivono in realtà che ancora ignoriamo di questo universo, ma come stabilire che siano sinceri o abbiano fatto quel che dicono di aver fatto?
Questo è un problema che ritroviamo in tutte le religioni (anche se ovviamente non viene sbandierato) ed in genere "compiere miracoli" (o fatti straordinari) è l'attestato di garanzia al quale si fa sempre appello. Ma "fare miracoli" (ammesso e non concesso che sia possibile) dimostrerebbe certamente che è un essere speciale, però non risolve definitivamente il problema dell'identità del nostro creatore.
Impossibilità di una verifica empirica delle doti di un creatore
Un approccio empirico per stabilire l'identità potrebbe consistere nella richiesta di generare un essere vivente e se ci riesce sicuramente aumenta la credibilità riguardo la possibilità che egli/ella/esso si attribuisce. Qui però emerge una complessificazione imprescindibile per dare un minimo di validità all'ipotesi di una coscienza intenzionale universale.
Noi siamo immersi nelle leggi fisiche. Ogni fenomeno, ogni vita è immersa in meccanismi degenerativi e conservativi. Quelli conservativi si sono consolidati in virtù della selezione negativa che hanno operato i fenomeni degenerativi. Abbiamo compreso molti fenomeni conservativi, per esempio, la termoregolazione, le membrane lipidiche, l'accumulo di energia chimica come zuccheri e grassi da spendere in momenti successivi, ma anche l'equilibrio dell'orbita di un pianeta, la presenza di pianeti giganti come giove che attraggono corpi vaganti e ci proteggono dal rischio di meteoriti devastanti. Non possiamo dimenticarci dell'adattamento di una specie al suo ambiente proprio attraverso la morte degli inadatti o il fallimento riproduttivo a vantaggio di quegli individui con caratteristiche di maggior successo, ecc., ecc.
Insomma, nessuna intenzionalità è richiesta in questo articolato processo, non c'è mai un paio di mani aliene che assemblano qualcosa, per dirla con altre parole. E prima, avevamo immaginato di chiedere ad un essere che dice di averci creato e dato un senso, di creare un altro essere umano come dimostrazione delle sue capacità.
Tale richiesta è assurda e possiamo cancellarla dal ventaglio delle ipotesi (e di conseguenza porre dei vincoli a come potrebbe essere una simile forma di intenzionalità creatrice). Infatti, abbiamo notizie su miliardi di anni di storia del pianeta e le forme di vita si mostrano come conseguenza di organismi precedenti, all'origine più semplici e poi in parte estinti, in parte hanno cambiato forma, in parte sono diventati più complessi, però risulta tutto un grande epifenomeno, qualcosa che emerge dalle condizioni ambientali ed anche entro i limiti delle leggi fisico-chimiche.
Dunque, se esiste un simile essere intenzionale non può avere mani simili alle sue creature. Altrimenti lui/lei/esso sottostarebbe alle leggi fisiche che sappiamo essere essenziali per i fenomeni vitali. Esso sarebbe un prodotto della natura e quindi non sarebbe artefice delle leggi che hanno reso possibile la vita. Piuttosto costui deve collocarsi ad un livello prima del big bang (o di qualsiasi fenomeno abbia dato origine al nostro universo). È un essere che deve poter operare all'origine. Forse può definire le stesse leggi fisiche... forse ha creato più universi paralleli con leggi fisiche molto diverse... Inutile immaginare l'inimmaginabile, ma se esiste non possiamo incontrarlo come si incontra una creatura della natura. In ogni caso è certamente impossibile vederlo all'opera.
Così resta insoluto anche il secondo problema sullo stabilire la sua identità chiedendogli di creare un essere umano, semplicemente non si può. Se ha fatto quello che ha fatto potrebbe ripeterlo solo ad un livello in cui la nosta esistenza non è nella forma che conosciamo o non c'è affatto, quindi non possiamo partecipare alla ripetizione di un simile atto di creazione intenzionale.
L'ipotesi di un creatore non ci fornisce una risposta
In conclusione, se esiste un senso che una super-coscienza intenzionale creatrice ci ha dato: è inverosimile poterci comunicare proprio per la differenza delle nostre nature e non potrebbe mai fornirci una prova che lei è chi dice di essere, sempre a causa della profonda differenza delle nostre nature. Ripetendolo diversamente e concisamente, la risposta sarà sempre umanamente inesprimibile e senza certificazione del mittente.
Proprio esplorando la possibilità più concessiva, sorgono dei problemi che ai miei occhi chiudono la questione in modo definitivo. È inutile chiedersi che senso ha la vita (o qualsiasi altra cosa naturale).
Umani che si riproducono dando uno scopo ai figli
C'è un caso limite che è opportuno menzionare. Pur rimamendo valido quanto detto per la specie umana, un paio di genitori umani potrebbero riprodursi avendo in mente uno scopo per i propri figli, per esempio, come nuove braccia nei campi, come soldati da mandare in guerra, come bambini per soddisfare l'istinto materno e/o paterno, come eredi per portare avanti delle attività di famiglia (imprese e/o tradizioni) e questi sono tutti motivi realmente operanti nella storia.
Però questo è pur sempre un caso limite, perché si mescola la condizione di esistere in forma umana, che nessun genitore può scegliere, ad un tentativo di indirizzare i propri figli verso uno o più scopi e i figli potrebbero anche mostrarsi in disaccordo.
In futuro ci si potrebbe spingere oltre i limiti della genetica nel concepire dei figli con uno scopo, per esempio modificati per avere determinate capacità fisiche o mentali e quindi destinati ad imprese sportive o belliche o intellettuali o di altro genere. È facile immaginarsi scenari distopici su questo versante e per ora sono solo scenari ipotetici, ma in tal caso gli umani inizierebbero ad essere qualcosa di meno naturale e progressivamente sempre più artificiale e quindi effettivamente concepiti con uno scopo umano.
In simili casi così spinti e ancora non reali, probabilmente potremmo rispondere alla domanda "che senso ha la vita" di vari umani geneticamente modificati per determinati intenti, ma è ancora fantascienza e quindi non mi addentro oltre.
Abbandonare la domanda
Se mi avete seguito fin qui con attenzione e avete la fortuna o la sfortuna (dipende dai punti di vista) di avere una mente che preferisce seguire la razionalità rispetto alla sensazionalità, la conclusione risulta definitiva: è impossibile avere una risposta. È necessario condurre le nostre vite o guardare a quelle altrui senza pretendere che debbano andare in una direzione finalizzata a qualcosa.
Chiaramente se uno si pone questa domanda, in un certo momento della propria esistenza, sentirsi dire "non ti porre questa domanda" o "la risposta non esiste" è deludente. Da una parte bisogna trovare il coraggio di accettare conclusioni solide, dall'altra si può provare a capire personalmente perché resti un senso di delusione.
Anche avessimo la risposta, siamo interessati ad altro
È possibile immaginare un caso limite che rende evidente il fatto che non siamo realmente interessati a quella domanda. Supponiamo incredibilmente che ci è stato comunicato il senso della vita umana da chi l'ha creata e proviamo a far finta che la risposta sia la seguente.
Noi siamo stati generati, insieme ad ogni altra creatura, per intrattenere e allenare una supercoscienza legata al nostro universo, una delle tante, così come tanti universi ci sono, quindi ci ha creato per studiare, divertirsi, provare, diventare più abile con i futuri universi... finché non verremo cancellati da eventi astronomici distruttivi perché non saremo più "materiale interessante" e solo quella divinità continuerà ad esistere oltre la fine di questo universo per farne altri. Quindi il nostro scopo è fare le cavie.
Soddisfatti? Ovviamente questa risposta è una fantasia distopica (e potete pensare distopie anche peggiori di questa), ma in tal caso un senso ci sarebbe, solo che ne ho pensato uno scandaloso, qualcosa che la maggior parte delle persone (se ciò fosse vero) non accetterebbe.
Quindi se ci sono sensi della vita accettabili (come andare in paradiso o raggiungere il nirvana) e sensi non accettabili (come fare le cavie o qualsiasi scenario indesiderato preferiate) non è vero che siamo interessati alla risposta sul senso della vita, così come si cerca un'informazione in un'enciclopedia e siamo aperti a qualsiasi risposta. No, vogliamo una risposta e che sia in un certo modo, dunque è una domanda subordianta ad altro.
Il benessere è realmente ciò che cerchiamo
Come emerge dalla provocazione distopica di prima, è chiaro che vorremmo un senso bello, desiderabile, che sia motivo di gioia o almeno di benessere. Uso la parola benessere come una condizione molto generica e desiderabile, possiamo considerarla una categoria che va da un benessere meramente fisiologico fino ad un'estasi mistica. Ora non ha importanza dettagliare la nostra ideale condizione di benessere.
Le stesse religioni che accettano la sofferenza, per esempio come forma di purificazione oppure la associano a dei premi futuri, puntano sempre ad un paradiso, ad uno stato di grazia eterno, un nirvana in cui sei libero da ogni bisogno, c'è sempre il benessere o la felicità come fine a conclusione della vita.
Tutto questo ci dovrebbe far capire con evidenza che il senso della vita nemmeno ci interessa, piuttosto vogliamo stare bene. E se stiamo male ora, tanto da chiederci "che senso ha tutto questo", è perché vogliamo o speriamo di recuperare un personale benessere.
La maggior parte delle nostre azioni segue obiettivi
Probabilmente non c'è solo un errore di contesto quando dimentichiamo che stiamo passando da cose artificiali a cose naturali e iniziamo a chiederci che senso abbiano. La maggior parte del tempo in cui agiamo lo facciamo per uno scopo: vincere un gioco, procurarci del cibo, guadagnare dei soldi, raggiungere un posto, lavarci, imparare una nuova lingua. Non importa quanto semplice o complesso sia l'obiettivo, è evidente che la nostra mente funziona moltissimo (anche se non interamente) con degli obiettivi.
Quindi pur rinunciando a cercare un senso per la vita (nostra o della specie) è immancabile che avremo bisogno di obiettivi da seguire, ma questi sono solitamente molto pratici, ampiamente connessi ai nostri bisogni fisiologici, c'è anche un complesso terreno di attrattive che stimolano la mente ed essa può auto-alimentarle perciò non è facile stabilire "di cosa ha bisogno un essere umano", ma in ogni caso si tratterà di capire il "funzionamento di un umano" che è una cosa ben diversa da uno scopo di vita inconoscibile e probabilmente inesistente.
Il primo obiettivo è il benessere
Sicuramente un obiettivo utile, come singoli individui che possono riflettere e studiare, ma anche come collettività, è capire bene come funziona l'essere umano. Chiaramente come collettività sono stati fatti progressi straordinari nei secoli, un progresso che tende ad accelerare, soprattutto dal punto di vista fisiologico, chimico-organico e neurologico. Però, lo studio sociale e psicologico è ancora ampiamente arretrato se confrontato con le branche scientifiche prima menzionate.
Inoltre, il rapporto con l'ambiente, seppure inquadrabile in una cornice di conoscenze dettagliate e predittive, continua all'atto pratico ad essere insoddisfacente per usare un eufemismo. Indicativamente nella politica, nell'economia e nella comprensione sociologica bisognerebbe fare passi altrettando straordinari quanto le scienze fisiche o del corpo, ma non è chiaro se ciò sia davvero possibile e certamente è un'impresa affidata alla storia e alla specie umana.
Il singolo individuo conta come un granello di sabbia in questo panorama, questo non significa che ciascun granello non contribuisca affatto a formare il panorama, però pur volendo impegnarci per il benessere umano, oltre a dover risolvere prima il nostro benessere personale, quello che poi potremo fare sarà offrire un granello e nulla di più.
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