Analisi logica e negazione del libero arbitrio

Abbiamo realmente delle alternative agli obiettivi che seguiamo?

Non mi interessa dare un giudizio ai tanti obiettivi che seguiamo, ma vorrei pormi ad un livello di riflessione ancora prima, ovvero se siamo effettivamente liberi di scegliere i nostri obiettivi, in termini più classici se gli umani hanno il libero arbitrio. Come sempre seguirò un approccio analitico, quindi sarà fondamentale chiarire ogni concetto e premetto che è molto facile in questo contesto attribuire diverse interpretazioni alle stesse parole.

Il concetto di "arbitrio"

L'arbitrio, come possiamo leggere sul vocabolario online della Treccani è la capacità di scegliere quali azioni compiere e quali giudizi dare. Nel contesto più specifico della filosofia si accompagna all'aggettivo "libero" e consiste nella volontà umana di autodeterminarsi senza cause esterne, né inclinazioni interne.

La definizione che ho trovato mette subito insieme le due parole "libero arbitrio", ma limitandoci ad "arbitrio" e rimanendo sintetici si intende la capacità di scegliere. Questa capacità può essere libera, influenzata, rigidamente determinata, non importa quale ulteriore aggettivo, quale caratterizzazione vogliamo attribuirgli, perché cerco di evidenziare il suo significato disaccoppiandolo dal concetto di libertà. Consideriamo dunque da cosa non possiamo disaccoppiare la capacità di scegliere, sicuramente da un insieme di dati su cui elaborare la scelta, sicuramente da un elaboratore che usi questi dati per stabilire una risposta e volendo anche degli attuatori per proferire la risposta o agire in accordo con essa.

Facciamo qualche esempio concreto dato che i concetti astratti si stanno accumulando. I dati di cui disporre possono essere quelli provenienti dagli organi di senso, come gli occhi o il gusto, o le parole ascoltate da un amico o lette su un libro. Ma possono anche essere i sentimenti e le emozioni che proviamo, attrattive, paure, curiosità, incertezze... Possono essere i profumi e i colori che un'ape riceve dai fiori. Ed ancora, i pixel luminosi registrati da una fotocamera o le radiazioni di calore provenienti da corpi caldi, ecc. Dunque i dati su cui elaborare una scelta può averli un umano, come un qualsiasi animale e persino una macchina.

Passiamo a dare qualche esempio di elaboratore, nel caso degli umani ha certamente un ruolo centrale il cervello, ma possiamo aggiungere anche gli ormoni che sono numerosi nel nostro corpo, non solo per quantità ovviamente, ma anche per tipologia, e permettono di far comunicare organi tra di loro e regolare molti meccanismi. Quindi sono anch'essi un sistema di elaborazione diffuso in tutto il corpo grazie alle ghiandole. Persino lo stomaco e l'intestino hanno rilevato che possiedono dei loro neuroni e quindi elaborano informazioni, sensazioni e possono incidere fortemente sull'umore e sulle decisioni che prendiamo. In generale, ovunque troviamo un tessuto neurale, che mostra un qualche tipo di organizzazione, ci aspettiamo che svolga almeno anche il ruolo di elaboratore dei dati. Ma bisogna rimanere aperti a sistemi di elaborazione anche non basati sui neuroni, per esempio le complesse relazioni delle radici degli alberi nel sottosuolo, la simbiosi e la complessità della flora batterica nell'intestino, le proteine all'interno degli organismi unicellulari (o in generale in tutte le cellule viventi) che eseguono gli ordini che indirettamente giungono dal DNA e, tra le loro innumerevoli attività, certamente elaborano anche informazioni. Infine, gli algoritmi, che possiamo scrivere al computer con un linguaggio di programmazione, sono una forma di elaborazione artificiale dei dati. Ogni software è tendenzialmente un valido esempio, fotocamere che autoimpostano vari parametri in base alle condizioni ambientali, bot che attaccano un giocatore in base alle sue mosse, antifurti che scattano se vengono rilevate certe violazioni, ecc.

Per completezza ho voluto aggiungere anche gli attuatori. Empiricamente per stabilire che una scelta è stata compiuta deve pur manifestarsi in qualche modo. Quindi, una bocca per esprimersi, gambe che iniziano a correre, ormoni che vengono rilasciati, proteine che iniziano ad assemblare materiale organico, sostanze chimiche prodotte dai batteri, variabili che vengono modificate nella memoria di una macchina o dispositivi che si muovono e modificano l'ambiente circostante, ecc. Ritengo che l'attuatore sia il concetto meno interessante, però è pur sempre un ingrediente essenziale nel processo della scelta ed è meglio averlo presente.

Riepilogando concisamente, l'arbitrio è la capacità di scegliere che si serve di dati, elabora una risposta e include dei mezzi per manifestarla. Secondo questa definizione, l'arbitrio è una capacità che hanno tutti gli animali, tra cui la specie umana, ed anche i programmi eseguiti dalle tante macchine costruite dagli umani.

Il concetto di identità

Abbiamo appena definito una capacità in senso astratto, però questa capacità deve essere attribuita a qualcuno, qualche animale o anche qualche macchina. Quindi c'è anche il concetto implicito di identità chiamato in causa. Chi o cosa può compiere una scelta? Purtroppo, il tema dell'identità è sufficientemente complesso da dover essere trattato completamente a parte. Sarà affrontato prossimamente.

Ora, menziono che l'identità è un altro ingrediente che dovremo tenere in considerazione per osservare in profondità il fenomeno delle scelte umane, ma al tempo stesso possiamo realmente mettere tra parentesi questo problema, cioè possiamo non considerarlo e al tempo stesso trarre qualche conclusione solida. Infatti, se arriveremo a concludere qualcosa sulla capacità di scegliere e sulla libertà, è secondario 'chi' si avvale di questa capacità, perché principalmente sapremo che le conclusioni a cui siamo giunti potremo applicarle a tutti. È in questo modo che possiamo disinteressarci di definire l'identità di qualcuno.

Concetto espresso dall'aggettivo "libero"

L'aggettivo "libero" è molto più ampio e usato in tantissimi contesti e sarebbe certo dispersivo tentare di elencarli tutti, per il contesto che stiamo affrontando ritengo appropriata la definizione letta prima "non vincolato da cause esterne o inclinazioni interne" (nella definizione originale "senza essere necessitato", ma ritengo che "non vincolato" è più semplice ed esprime lo stesso concetto). Quindi il libero arbitrio è "la capacità di scelta quando essa non è vincolata da cause esterne o inclinazioni interne".

Offro nuovamente qualche esempio concreto e avanzo delle domande. Se la scelta non deve essere forzata da cause esterne, come un fucile puntato sulla testa o la povertà o le leggi fisiche che determinano certamente tante necessità, né deve essere condizionata da inclinazioni interne come la fame o l'istinto sessuale o un eccesso emotivo dovuto a squilibri ormonali o altre cause interne. Da cosa dunque dovrebbe dipendere la capacità di scelta per essere libera o non vincolata?

È proprio qui che emerge il paradosso del concetto di libero arbitrio. Tanto più andremo a cercare delle cause ragionevoli da cui far dipendere il libero arbitrio, tanto più sarà determinato da quelle cause, tanto più cercheremo di tenerlo indipendente da ogni causa e tanto più approderemo ad un evento non deterministico e privo di cause, che praticamente è la definizione di caso. Ma procediamo per gradi.

La relazione tra cause ed effetti

Quando studiamo il mondo, specialmente da qualche secolo a questa parte, abbiamo avuto un grandissimo successo nell'esaminare cause e condizioni e predirne gli effetti. Possiamo dire di essere fortunati a vivere in una realtà piena di regolarità, dove le cose non accadono a caso o per capriccio di demoni o dèi. Queste regolarità sono possibili grazie a relazioni tra cause ed effetti.

Questa constatazione è empirica, finché non studiamo il mondo non possiamo sapere come tendono a comportarsi gli eventi, anzi nel mondo subatomico i fenomeni descritti dalla meccanica quantistica mostrano che la localizzazione delle particelle descritte da una funzione d'onda avviene genuinamente a caso. Non importa se non sapete quasi nulla di meccanica quantistica, ci basti sapere che almeno una teoria fisica contemporanea ammette l'esistenza del caso. Schematicamente abbiamo una serie di condizioni ABC e sappiamo che può seguire X o Y o Z. La localizzazione della funzione d'onda casualmente genererà l'esistenza di X ed eliminerà la possibilità per Y e per Z.

Il caso non è da intendersi come un evento fortuito o accidentale, ma precisamente è un effetto che non segue, non è determinato interamente da cause precedenti. È importante esprimersi al meglio sul piano logico. Qui, una condizione o causa la indico con una lettera, come ho fatto prima, questa lettera può essere non scomponibile in altre sotto condizioni (per esempio N "questo fotone non ha massa" non sembra dettagliabile in sotto condizioni o sotto descrizioni) oppure può essere scomponibile (per esempio, G "questo animale è un gatto", certamente possiamo raccontare ancora innumerevoli cose sulla condizione o causa G, ovvero c'è un gatto). Dunque, se dico A può essere sia un complesso insieme di cause, sia una singola causa non riducibile ad altre. Il fatto che X sia un effetto e non una causa, dipende solo dal modo in cui colleghiamo A ed X nel tempo. Quindi qualsiasi lettera, ovvero condizione, può essere causa o effetto, dipende da che punto di vista la osserviamo.

La relazione causa ed effetto esiste perché l'universo è mutevole, se tutto fosse eternamente statico non avremmo cause ed effetti. Qualcosa che muta può essere una conseguenza di ciò che c'era prima. Oppure può essere "creato dal nulla", iniziare ad esistere senza essere stato determinato da nient'altro prima. Il caso è eccezionalmente speciale perché è un piccolo momento di creazione, quanto meno creazione di informazione. Se in meccanica quantistica esistono stati oggettivamente indeterminati, quando assumono una localizzazione non viene creata energia, ma un po' di informazione viene creata. La quale non è rintracciabile nelle cause precedenti. È difficile per la mente umana credere nel caso, in senso assoluto, oggettivo. La famosa frase di Einstein "dio non gioca a dadi" rispecchia, da parte di un pensatore certamente creativo, un senso di incredulità di fronte ad un evento del genere.

Come schematicamente mi esprimevo prima, la teoria della meccanica quantistica ci permette di prevedere molte possibili posizioni per una particella in stato quantistico, per questo abbiamo un insieme di effetti X o Y o Z (eccetera volendo), quindi assistiamo sia ad un momento di creazione di una di quelle 3 o più possibilità e ad un momento di distruzione delle altre possibilità. Potremmo descrivere tutto l'universo con delle lettere che ne rappresentano le innumerevoli condizioni e sotto condizioni, dalle quali seguiranno nuove condizioni e sotto condizioni. Il rapporto di causa ed effetto è rappresentato da una freccia che collega due di queste lettere (non dimentichiamo che un insieme di lettere può essere rappresentato da una lettera).

La freccia può essere entrante o uscente, se è entrante in una lettera allora essa è una condizione o un evento determinato da altre condizioni o cause precedenti. Se è uscente allora quella condizione sta determinando qualche altra condizione. Finché c'è una freccia c'è un rapporto di determinismo, ovvero di causalità. Però, se ci sono lettere senza una freccia entrante, significa che sono lettere che compaiono per la prima volta, non sono determinate da niente altro, nemmeno da eventi di altre dimensioni o dal futuro perché altrimenti ci sarebbe una freccia entrante. Se non c'è una freccia entrante, allora è una condizione nuova, e non so quanto senso abbia dire "creata dal nulla", ma certamente non da altre lettere.

Possiamo avere anche la situazione di una lettera senza frecce uscenti, questo significa che abbiamo un fenomeno di distruzione, una condizione che esisteva, ma anziché determinare effetti su altro non determinerà alcun effetto, sparisce. Anche questo succede alle alternative che non si verificano in una funzione d'onda quantistica, quelle condizioni, anche se prima hanno avuto degli effetti nella catena di eventi, ad un certo momento ci sono delle possibilità senza frecce uscenti, così come ci sarà una nuova lettera che dal nulla determinerà a quale delle tante possibilità corrisponderà l'effettiva localizzazione del fenomeno.

In questo universo schematizzato con le lettere, possiamo avere lettere con una freccia uscente, quindi quella condizione determinerà qualcosa, o lettere senza frecce uscenti ovvero essa non determinerà altro, ma siccome non avrà affatto conseguenze, non sarà né un evento causale, né darà origine ad eventi casuali, semplicemente smette di avere un effetto. La differenza cruciale è essere una lettera determinata da altre lettere, quindi con una freccia entrante, oppure essere una lettera senza una freccia entrante, ovvero iniziare ad esistere per la prima volta in questo mondo di lettere, appunto un evento casuale, che non dipende da nessun altra condizione. Ecco perché le possibilità logiche sono soltano 2, potremmo chiamarle trasformazione e creazione.

La trasformazione è sempre determinata da altro, anche se fosse un dio a trasformare qualcosa, ci sarebbero condizioni nella mente di dio che determinerebbero quello che lui/lei andrà a creare. L'unico modo per creare qualcosa che non sia conseguenza di qualcos'altro che c'era prima è farla apparire a caso. Solo il caso è qualcosa che non deriva da precedenti condizioni. Vorrei chiarire che le frecce che immagino tra le condizioni che descrivono l'universo non sono necessariamente frecce che seguono la linea del tempo che conosciamo, ma potrebbero arrivare da altre dimensioni, dal futuro, da altre linee del tempo. Questo schema di eventi causati e casuali, rappresentati con lettere, è così generale che si pone ad un livello più astratto persino del tempo e potrebbe essere compatibile con qualsiasi tipo di legge fisica.

Quindi è un ragionamento su una base logica che ha una portata immensamente generale, sarebbe valido persino nel multiverso se esistesse, sarebbe valido anche nella mente di una supercreatura che pone condizioni risiedendo in un'altra dimensione ed essendo causa di cose che accadono nel nostro universo, sarebbe valido anche se eventi in un futuro relativo determinassero effetti in un passato relativo. Probabilmente l'universo offre meno possibilità di quelle qui immaginate, ma anche se le offrisse il binomio determinismo o casualità resterebbe valido.

Esiste una terza possibilità? Logicamente una nuova terza possibilità non è concepibile: o c'è una freccia entrante o non c'è una freccia entrante. Possiamo avere un mix delle due precedenti, ovvero un insieme di effetti che in parte è determinato da un certo insieme di cause ed in parte non è determinato da quell'insieme di cause, ovvero un mix di causalità e casualità, ma non otteniamo un terzo ingrediente. Abbiamo visto che degli eventi (lettere) possono non avere effetti (nessuna freccia uscente), ma in tal caso non segue un evento determinato, né uno casuale, ma non un terzo tipo, altrimenti avremmo una lettera e sarebbe un ordinario caso di determinismo, ma non segue proprio nulla. E se non c'è nulla, non possiamo elencare qualcosa. Quindi ci fermiamo a 2 o volendo 3 (il mix delle 2) possibilità.

Anticipo che qualche sostenitore del libero arbitrio, specie in ambito religioso, fa appello ad un'ulteriore possibilità, sostenendo che gli umani abbiano una facoltà che non possono comprendere con l'intelletto però né sono dotati, ma bisogna procedere con cautela, ora abbiamo visto le possibilità logiche.

Può il libero arbitrio essere compatibile con il determinismo?

Per come ho definito i termini prima, il determinismo non è compatibile con il libero arbitrio, però la definizione dei termini ha un certo margine di soggettività in certi contesti (e questo è uno di quei contesti). Per esempio, l'aggettivo "libero" potrebbe essere inteso anche come "causato da me". Per limiti di tempo, il tema dell'identità deve rimanere tra parentesi ma, volendo adottare questa definizione, cambierebbe il significato di "non vincolato da cause esterne o inclinazioni interne" in "non vincolato da cause esterne" e basta. Questa concezione di libertà la troviamo per esempio in ambito giuridico, dove non si è interessati all'esistenza filosofica del libero arbitrio, ma serve soltanto una definizione pratica di libertà.

Un soggetto adulto che firma un contratto e non era forzato da minacce esterne o sotto l'effetto di droghe, quindi un soggetto che decide con la propria esperienza, la propria memoria, usando i suoi sensi, ascoltando i suoi sentimenti e qualsiasi altra causa interna che è riconducibile a ciò che il soggetto è, ovvero alla sua identità, rende quella scelta libera. Questo concetto di libertà è "poco pretenzioso" e abbastanza semplice da capire, probabilmente per questo non mancano posizioni anche in ambito filosofico in cui si sceglie proprio questa concezione di libertà, dato che non pone paradossi.

Infatti, ciò che il soggetto è può essere completamente determinato dalle leggi fisiche, quindi si può credere in un mondo deterministico in cui certe scelte derivano da cause riconducibili all'interiorità di quel soggetto, quindi sono scelte sia determinate ma anche libere, semplicemente perché sono scelte proprie e non altrui o non costrette da eventi estrinseci.

A questo punto, è solo il nostro senso di soddisfazione che ci può lasciare sereni in questa visione in cui siamo liberi e siamo determinati al tempo stesso senza avvertire altro problema. Ma se abbiamo maggiori aspettative nei confronti della libertà o ha un impatto emotivo l'idea che per ogni scelta che compiano può non esserci fattualmente una possibilità che le cose vadano in un'altra maniera, allora non saremo soddisfatti da quella concezione di libertà "giuridica". Chiaramente, io sostengo la scelta delle definizioni compiuta all'inizio che è anche quella più classica.

Può una scelta assolutamente non prevedibile essere attribuita ad un soggetto?

Abbiamo già visto che nella relazione tra cause ed effetti non c'è spazio per il concetto di libero arbitrio. Però, proviamo comunque a inquadrare questa richiesta impossibile che il libero arbitrio, come inizialmente definito, vorrebbe. Potremmo mettere a fuoco questa richiesta con il concetto di "assoluta non prevedibilità". Ci sono tante cose che non sono prevedibili perché sarebbe troppo complicato o praticamente impossibile conoscerne tutti i dettagli per fare la corretta previsione, però in linea di principio sono fenomeni che si potrebbero prevedere.

In particolare, posso menzionare i fenomeni che rientrano nel caos deterministico, come il tempo atmosferico o le tempeste solari o la distribuzione delle piante in un bosco o i terremoti, ecc. Sono tutti fenomeni caotici nel senso che piccole variazioni possono produrre grandi effetti sul fenomeno complessivo e quindi solo la perfetta conoscenza di tutte le variabili potrebbe permettere la previsione dell'intera dinamica, ma da un punto di vista pratico è impossibile conoscere tutti questi dati, quindi sono fenomeni non prevedibili o assai limitatamente prevedibili.

Per questo prima ho usato il termine "assoluta non prevedibilità", dato che il libero arbitrio, se lo si vuole porre come non soggetto al determinismo, non può essere soltanto non prevedibile come lo sono i terremoti, ma pur conoscendo tutte le variabili in gioco non dovremmo essere in grado di prevedere una libera scelta, altrimenti sarebbe determinata. Questo ci riporta facilmente al concetto di caso, anche il caso in meccanica quantistica è assolutamente non prevedibile, cioè pur avendo tutti i dati possibili sulle condizioni iniziali di una funzione d'onda quantistica, la localizzazione di uno stato futuro di una particella è genuinamente casuale.

Ora però questa richiesta di svincolare il libero arbitrio dal determinismo si ritorce contro, perché se non dipende più da alcuna causa o dato iniziale conoscibile, l'effetto finale perde la sua sensatezza. Come può una scelta essere assolutamente non prevedibile ma anche frutto di un atto consapevole del soggetto? Se la scelta viene compiuta da qualcuno, ci aspettiamo delle ragioni dietro quella scelta, altrimenti resta solo una scelta casuale, anche assolutamente non prevedibile se vogliamo, ma casuale. Se la scelta diventa casuale forse dipende da strani eventi dell'universo, forse dal nulla, ma certamente non più da noi, non può più essere una scelta nostra se è assolutamente non prevedibile.

Non mi sono addentrato nella definizione di identità, ma in qualche modo l'identità deve essere un insieme di cause e di dati iniziali rispetto al processo di scelta. Questo è un altro modo di far emergere l'impossibilità del libero arbitrio. In parte, esso vorrebbe l'ingrediente di non prevedibilità tipico del caso, ma senza essere casuale, per non perdersi il legame con il soggetto che compie la scelta. In parte, vorrebbe la sensatezza di una catena di cause e ragioni, ma senza rimanere imprigionato in essa, altrimenti l'individuo risulterebbe predeterminato. Soddisfare entrambe le richieste, senza avvalersi della soluzione banale "un po' e un po'" che lo fanno anche i fotoni e non per questo li consideriamo liberi, è impossibile. Così come non c'è un terzo nuovo modo di legare le cause con gli effetti, non si può considerare l'identità indeterminata, nella speranza che essa non sia solo un insieme di cause determinanti la scelta, e far dipendere quel margine di indeterminatezza da una identità determinata, dall'identità di qualcuno, altrimenti avremmo un evento puramente casuale perdendoci la responsabilità del soggetto. Così, l'impossibilità della richiesta si ripercuote precisamente sul concetto di identità.

Può il libero arbitrio esistere ed essere inimmaginabile per la mente umana?

Ciò che a più riprese emerge negando il libero arbitrio è che "non è mai possibile scegliere o giudicare qualcosa di diverso da ciò che di volta in volta scegliamo e giudichiamo". Questa constatazione che può essere deterministica o accompagnata da un pizzico di casualità, ma che toglie la responsabilità morale alle azioni umane, è ovviamente avvertita come un problema specialmente in ambito religioso.

Il giudizio di dio o in generale il giudizio morale diventa un fatto meschino, solo con una carenza di comprensione della realtà umana e dei più basilari principi della fisica, possiamo ritenere che sia giusto giudicare cattive certe persone e buone altre, in base alle scelte che hanno compiuto. Ma la realtà è molto più complessa di "un mondo di buoni e cattivi". Vedremo le conseguenze di una concezione senza libero arbitrio, ma più avanti. Sempre in ambito religioso risultano dunque concetti infantili e meschini quelli di inferno e paradiso. Perché se fossimo cattolici e non credessimo più nel libero arbitrio dovremmo concludere che dio l'ha fatto apposta a far finire tanta gente all'inferno. In questo senso ciò è meschino. Così, proprio per salvare certi complessi costrutti di credenze, come le religioni, si fa appello ad ipotesi celate dal mistero.

In particolare, si potrebbe ipotizzare che il libero arbitrio sia una facoltà che gli umani possiedono ma non possono capirla con il loro stesso intelletto. Nulla vieta di mettere in discussione lo stesso strumento di ragionamento che ci ritroviamo, però risulterà certamente l'ipotesi più forzata e limitante al tempo stesso. Risulta anche incoerente pretendere di capire il concetto di "libero arbitrio" per sostenere che esista, mentre asseriamo che è un mistero. Come facciamo ad utilizzare un termine che non possiamo capire? La conclusione che dovrei trarre è che chi sostiene questa ipotesi non sappia di cosa sta parlando.

Se dobbiamo fare scelte quotidianamente, siamo dunque costretti a credere al libero arbitrio?

Cercando di continuare a sostenere l'esistenza del libero arbitrio, si può accantonare il piano più intellettuale e considerare quello pratico. Nella quotidianità dobbiamo compiere tante scelte, poco importa se non crediamo al libero arbitrio, di fatto dobbiamo "esercitarlo". Questa contraddizione tra credenze e comportamento viene talvolta mostrata come confutazione verso chi nega il libero arbitrio, facendogli notare che lui stesso si impegna nel compiere scelte continuamente.

Il paradosso è apparente seppure insidioso. Supponiamo di rimanere coerenti nel modo superficialmente atteso da chi avanza questa confutazione: siccome credo che il libero arbitrio non esiste, allora non compio più alcuna scelta, tanto tutto seguirà da cause determinate. La prima constatazione è che è impossibile non compiere alcuna scelta, siamo costretti a farlo, anche non fare nulla è una scelta, spesso difficile perché ci si deve opporre con resistenza a tanti stimoli. Più azzeccato del termine "scelta" in questo contesto è l'espressione "assumere una condotta". Noi stiamo già seguendo una condotta e nell'istante presente la subiamo, come una conseguenza passiva di un passato che non possiamo più modificare.

Bisogna prendere del tempo per capire se il momento presente ci offre una scelta da compiere, non di rado prevalgono automatismi ed abitudini, non dovrebbe essere troppo difficile constatarlo. Inoltre, se la scelta è alzare o meno un dito senza che la cosa abbia effettivamente una rilevanza nella nostra vita, per quanto possiamo tentare di sorprendere persino noi stessi, al massimo avremo a che fare con un evento più o meno casuale. Bisogna andare al cuore delle scelte importanti per parlare di libero arbitrio, dove questa facoltà vorremmo che contasse.

Dubito che ora qualcuno abbia qualche scelta importante da compiere, sarà più facile tornare con la memoria a qualche scelta importante che si è compiuta in passato. A seconda del carattere, c'è chi si "butta sulle cose", quindi si affida un po' al caso o alla fortuna, chi invece cerca di valutare al meglio pro e contro, ragioni ed ostacoli, prima di decidersi a prendere una certa direzione. Proprio qui entra in gioco tutta la nostra soggettività, le nostre capacità, la nostra intelligenza, le nostre emozioni, tendenzialmente vorremmo compiere una scelta vantaggiosa. Cerca di farlo sia la persona diciamo "malvagia", sia la persona "giusta" (questo giudizio dipende dai valori e dagli obiettivi seguiti), ma tutti cercano di compiere scelte vantaggiose dal loro punto di vista. In altre parole, tutti si impegnano nei limiti delle proprie capacità nel fare le scelte che fanno, soprattutto quelle percepite come importanti.

Come facciamo ora a stabilire se questo processo, al quale non possiamo sottrarci in nessun caso, è effettivamente determinato da tutte le mie qualità e da tutti i fattori esterni, oppure se da qualche parte risiede un'entità legata alla mia identità (perché sono io che devo scegliere) e capace di generare effetti senza essere rigidamente determinata da cause interiori (altrimenti finiamo per negare il libero arbitrio), ma questo stato di indeterminatezza non deve risultare casuale (altrimenti la scelta non è più mia) e deve essere parte dell'identità determinata prima menzionata (ma allora l'identità sarà determinata o indeterminata?).

Se non vogliamo affrontare questo pasticcio sul piano intellettuale, come abbiamo fatto prima, ma vogliamo usare un approccio empirico è semplicemente impossibile arrivare ad una risposta. Infatti, gli esperimenti nelle scienze richiedono la proprietà di essere ripetibili. Se non è ripetibile, nessuno può verificare che quanto si predice, date certe condizioni, segua come atteso oppure no. Spesso le scienze predicono comportamenti abbastanza grossolani basati su modelli semplificati della realtà. Si possono fare innumerevoli cose interessanti con modelli semplici, ma in questo contesto dovremmo fare esperimenti sul comportamento umano in modo estremamente preciso e riprodurre un cervello con tutte le sue connesioni neurali, immerso nello stesso ambiente e sottoposto agli stessi input, per vedere se reagisce sempre allo stesso modo oppure no, è al momento (e forse per sempre) completamente fuori dalla portata sperimentale.

Quindi dover compiere scelte, da un punto di vista sperimentale, non ha alcuna possibilità di dimostrare nulla empiricamente. Non dimostra che c'era una scelta alternativa a quella di volta in volta compiuta, né dimostra che non c'era una scelta alternativa a quella di volta in volta compiuta. Per questo compiere scelte quotidianamente non è incompatibile con il credere che il libero arbitrio non esista. In realtà non è incompatibile nemmeno con il credere che esista. Semplicemente è un approccio inconcludente.

Non mancano esperimenti nelle neuroscienze in cui monitorando l'attività cerebrale si cerca di predire la risposta del soggetto diversi secondi prima che esso la compia, però si basano su azioni molto semplici e poco rilevanti per la vita del soggetto. Infatti ci sono dibattiti aperti su chi sminuisce la portata di quegli esprimenti e chi li presenta come dimostrazione della non esistenza del libero arbitrio, ma il piano sperimentale, a meno che un giorno non diventi tanto preciso da tracciare con dettaglio quasi tutta l'attività del cervello, ha i limiti che ho appena detto: non è riproducibile nel dettaglio a cui saremmo interessati per fare esperimenti sulle scelte umane e si basa comunque su modelli semplificati, che sono troppo semplici nel caso della complessa attività del cervello. Insomma, avremo sempre un margine per fare tante interpretazioni di fronte a questi esprimenti. A meno che in futuro non diventino sorprendentemente precisi, ma la vedo dura.

Reagire non facendo più nulla come confutazione della negazione del libero arbitrio.

Vorrei evidenziare un'altra sfaccettatura della questione appena esaminata. Anziché far notare che quotidianamente compiamo scelte, qualche confutatore potrebbe sedersi dicendo "se il libero arbitrio non esiste, allora non faccio più nulla". Abbiamo già visto che non fare nulla è impossibile e che sul piano pratico non si può dimostrare niente. Però, siccome mi è personalmente capitata questa reazione, vorrei analizzarla in profondità.

Per quanto quella persona possa temporaneamente interrompere la sua abituale routine, è costretta ad agire di nuovo: gli verrà fame, dovrà andare in bagno, avrà un lavoro a cui pensare, ecc. Quindi, sì, le cose andranno avanti da sé. Ci saranno bisogni che si presenteranno, ci saranno persone che si aspetteranno cose da noi e via dicendo. Tutto questo costringerà la persona a lasciare il suo atteggiamento e assecondare le necessità della vita, nonché i suoi stessi desideri perché certamente si annoierà a stare senza far nulla e al rinunciare a tante altre attrattive.

Ma supponiamo che sia così ostinato e convinto che quell'atteggiamento possa essere una valida confutazione della non esistenza del libero arbitrio, da rimanere così fino a morire di fame, sacrificando la sua vita per una causa che ritiene importante. Anche in un caso così estremo, quello che potremmo osservare sono in primo luogo i limiti intellettuali di quella persona, che non si è resa conto che non è possibile empiricamente dimostrare che compiuta una scelta fosse realmente possibile compierne un'altra, cercando di compiere una qualche azione "speciale". Non è così che funzionano gli esperimenti, come detto prima, serve la riproducibilità che in questo caso è impossibile.

Probabilmente, nell'intento di "non fare più niente", opporsi a tutto fino a morire, c'è il desiderio di mostrare che occorre compiere delle scelte e se l'impegno della scelta viene meno, la vita umana non funziona più. Se per impegno consideriamo la raccolta di input, gli zuccheri utilizzati per soppesare varie possibilità e giungere ad una risposta, anche le macchine si impegnano allo stesso modo, ci sarà una CPU che consuma corrente elettrica per eseguire un algoritmo che produrrà una risposta. Però, l'elaborazione di dati e il consumo di energia rientrano in un fenomeno fisico, certamente deterministico per le macchine e quale ragione avremmo per non pensare lo stesso di noi?

In alternativa, questo impegno potrebbe essere la volontà di considerare una situazione e giungere ad una scelta. Solitamente non riconosciamo una volontà alle macchine, perché non hanno desideri. Ma cosa mai sarebbe la volontà? Se si cercano un po' di definizioni troviamo varie espressioni "essere determinato a fare qualcosa", "essere deciso a fare qualcosa", "desiderare qualcosa e cercare di ottenerla". Ritengo che la parola chiave dietro queste espressioni sia "desiderare". Se abbiamo maturato una determinazione o decisione nel fare qualcosa, certamente desideriamo quella cosa. È facile constatare che i desideri sono tanti, a volte anche in contrasto tra loro (per esempio, se ne realizziamo uno, dobbiamo rinunciare ad un altro), in antitesi al desiderio c'è tutto ciò che non desideriamo, magari perché ci spaventa o ci disgusta, ma queste sono reazioni traducibili come "desiderio di sicurezza" o "desiderio di piacevolezza".

Che cosa porta questo insieme contrastante di desideri ad una decisione? Come emerge un desiderio prevalente che andrà a caratterizzare quella che chiamiamo volontà? Certamente a questo livello incidono anche le credenze, se desideriamo andare su Marte ma crediamo che per noi non sia possibile, certamente dobbiamo rivalutare il complesso insieme di desideri che abbiamo dentro e maturare una nuova volontà sul nostro futuro lavorativo o di altro genere. Ora, per quale ragione dovremmo credere che la volontà di chi smette di impegnarsi a compiere scelte, stando seduto fino a morire, non faccia capo ad un desiderio prevalente maturato da processi interiori deterministici?

Certamente c'è il desiderio di dimostrare che il libero arbitrio esiste, c'è anche la credenza che sia possibile compiere un'azione speciale per offrire questa dimostrazione (credenza errata), non manca il desiderio di mangiare, di vivere, di fare cose piacevoli, ma possono essere desideri meno forti di altri idealismi (realisticamente capita agli umani quando decidono di fare i martiri o i terroristi...). Ma quale dimostrazione abbiamo che i processi che hanno maturato quella volontà non siano deterministici? Nessuna. Come al solito, sul piano empirico, tutte le possibilità restano aperte, non si può concludere nulla, dato che non possiamo fare esprimenti riproducibili su quei complessi processi.

Immaginiamo ora che l'ostinato seduto confutatore capisca questo ragionamento ed inizi a condividerlo. Si renderà conto che quello che sta facendo non realizzerà il suo desiderio di dimostrare qualcosa. Quindi le credenze che lo avevano portato a quella condotta, non ci saranno più e per quale motivo dovrebbe continuare a stare seduto e a soffrire tanto prima della morte? Non ci sarebbe più alcun motivo e possiamo stare certi che gli risulterà impossibile continuare ad assumere quella condotta e ricomincerà a seguire i precedenti desideri come sfamarsi, guardare la TV, passeggiare e via dicendo.

Credo sia piuttosto evidente che i desideri hanno un ruolo molto grande nel determinare che cosa faremo, in seconda battuta vengono le paure, ma sono un'altra faccia della stessa medaglia. Se veramente i desideri, articolati dalle credenze, dalle conoscenze, soppesati dalle rispettive paure, determinano una risultante che chiamiamo volontà, dunque se questo processo risultasse deterministico, non per questo smetteremmo di impegnarci nel realizzare il desiderio prevalente o che crediamo possibile. Dovremmo avere un'avversione alla determinazione per smettere di impegnarci nel nostro interesse, ma che senso avrebbe agire "male" o in modo bizzarro solo per "fregare" il determismo dell'universo? Serve sempre una ragione per fare qualcosa, altrimenti non la facciamo.

Ci sono scherzose reazioni di fronte al determinismo come dire o fare cose improvvise e completamente senza senso affinché siano del tutto inaspettate, nel migliore dei casi avremo iniziato a fare cose a caso, ma non sarebbe una scelta vantaggiosa per noi, e continuerebbe a non dimostrare nulla (potrebbero essere tutte reazioni comunque determinate da ciò che siamo e dagli input del momento), e non sarebbe una condotta sostenibile nel tempo, dovremmo riprendere a fare quel che facevamo prima, ovvero impegnarci per compiere scelte vantaggiose per i nostri desideri e interessi.

Gli atti eroici dimostrano che siamo liberi?

Voglio menzionare gli atti eroici, giusto perché si può incontrare questa argomentazione. Il libero arbitrio sarebbe dimostrato dal fatto che possiamo opporci ai nostri istinti, compiere atti eroici o sacrificare la nostra vita per degli ideali o altri scopi umanitari. Ma questo significa soltanto che non siamo determinati solo dagli appetiti come è abbastanza ovvio che sia. Per compiere gesti coraggiosi o estremi (nel bene e nel male) serve una forte motivazione per farlo, insomma servono altre cause che non saranno gli appetiti ma non ci dicono nulla sul fatto che compiute quelle inaspettate scelte era effettivamente possibile che altre scelte fossero compiute. Abbiamo appena visto che i desideri sono tanti, spesso contrastanti e articolati dalle credenze e sicuramente da molti altri fattori. Insomma, la libertà come capacità di opporsi agli isinti è un'argomentazione più fragile della precedente e comunque si infrange di fronte all'impossibilità empirica di compiere un gesto speciale che dimostri qualcosa.

Non esiste il libero arbitrio: "ora ti picchio e non è colpa mia"

C'è un ultimo fatto che vorrei menzionare, non ricordo se fu un compagno di corso a rivolgermelo, ma è una reazione non rara da sentire. Provocatoriamente viene detto a chi asserisce che non esiste il libero arbitrio che ora riceverà un pugno in faccia e non dovrà arrabbiarsi o reagire perché non è colpa di chi ha sferrato il colpo, ma sono le inevitabili cause dell'universo. Anche in questo caso dobbiamo constatare i limiti intellettuali o lo scarso tempo concesso al ragionamento di chi se ne esce con questa argomentazione.

Negare il libero arbitrio non significa essere propensi ad esporsi a sofferenze senza tentare di contrastarle, non ha senso immaginarsi questa conseguenza. Molto banalmente pensiamo ad una casa diroccata o ad una forte grandinata, questi fenomeni sono ovviamente privi di scelte intenzionali e sono anche pericolosi, è bene non entrare in quella casa ed è bene mettersi al riparo finché la grandinata non smette.

È del tutto irrilevante ai fini della nostra incolumità se un fenomeno sia intenzionalmente libero o determinato, nel desiderare di metterci al riparo o contrastare il fenomeno. È ovvio che agiremo nel nostro interesse, anzi tanto più il livello di violenza sarà elevato e tanto più ci ritroveremo costretti ad agire nel nostro interesse. Quindi è del tutto inquadrabile e compatibile in uno scenario totalmente deterministico evitare i pericoli. Che ragione avremmo di esporci ad essi? Se non c'è una ragione, sicuro non lo faremo.

Rimane aperta una questione più sottile relativamente alla responsabilità di chi ha sferrato un pugno o fatto di peggio. Lo consideriamo colpevole? o innocente perché determinato ad agire da cause precedenti? In realtà il problema etico è solo etico, non ha molta importanza il giudizio che vogliamo esprimere su qualcuno. Per esempio, la casa non ha colpa se è diroccata ma è certamente utile restaurarla o abbatterla se non è possibile restaurarla. Anche la grandine non ha colpa se ammacca automobili, distrugge raccolti e uccide qualche animale, però è certamente utile dotarsi di assicurazioni, costruire capannoni o attuare altre forme di prevenzione.

Allo stesso modo poco importa se un assassino date le cause che nella sua vita ha ricevuto, compreso il suo stesso corpo e cervello, poteva effettivamente non uccidere chi ha ucciso o non c'era alternativa a quegli eventi, di sicuro non possiamo lasciarlo agire nel modo in cui sta agendo. Sarà necessario bloccarlo, tentare un percorso rieducativo, ammesso possa aver successo, o tenerlo in prigione fino alla fine dei suoi giorni.

Non credere nel libero arbitrio significa sostituire il concetto di colpa con il concetto di causa indesiderata, come anche il concetto di merito con il concetto di causa desiderata, ovviamente possiamo per comodità usare le parole colpa e merito, o genericamente responsabilità, ma senza sentimenti di condanna morale, piuttosto cercando di vedere gli umani come complessi fenomeni e cercare di gestirli nel modo più conveniente possibile.

Se un pazzo fa una strage in piazza e rovina la pace di diverse famiglie, è chiaro che le vittime proveranno dolore e che quella persona va fermata, ma è del tutto irrilevante considerare l'evento come frutto della colpa di qualcuno o come conseguenza di un disastro naturale. Accadono anche questi ultimi, quando non abbiamo nessuna persona su cui indirizzare la rabbia e il dolore siamo costretti ad accettare la tragedia e andare avanti. Questo purtroppo fa decisamente attrito con il senso di giustizia che vorremmo vedere, ma ci sono innumerevoli fatti storici che non si sono risolti con una riparazione dei torti subiti e sempre storicamente si è dovuti andare avanti accettando l'ingiustizia.

È una lezione molto difficile da digerire, molto difficile da far capire ad un bambino perché il suo senso di giustizia è ancora troppo semplice e ingenuo, in realtà è impegnativo da digerire anche per un adulto, specie se si trova personalmente coinvolto in eventi che ritiene ingiusti.

Tornando al picchiatore che si sente libero di infliggere danni solo perché ha scoperto che il libero arbitrio non esiste e lui non ha più colpe. Questo modo di agire, che sicuro è più provocatorio che realistico, porterebbe ad una condotta svantaggiosa per chi opera in quel modo. Dato che non mancherà chi potrebbe contrattaccarlo a sua volta, chi in base alla gravità del danno vorrà metterlo in galera, per non parlare delle pessime relazioni che inizierebbe ad instaurare con molti suoi vicini. Insomma, più presto che tardi si ritroverebbe costretto a migliorare nuovamente la sua condotta perché inizierebbe ad agire ampiamente contro i suoi interessi.

Tutti cerchiamo di fare scelte vantaggiose, ovviamente ci si può sbagliare, si possono avere limiti o malattie mentali, disturbi emotivi, si possono avere credenze fuorvianti, quindi non possiamo aspettarci buone scelte, dal nostro personale punto di vista, da parte di tutti. Sto dicendo una ovvietà, però nel dirla vorrei sottolineare che, per quanto sia molto raro, è possibile interagire con soggetti potenzialmente pericolosi che potrebbero reagire male se si sentono dire che sono predeterminati nel fare quello che fanno. Ovviamente il nodo cruciale non è il libero arbitrio, ma l'aggressività del soggetto stesso. Ci sono tanti argomenti che è saggio non menzionare con certi soggetti, notoriamente argomenti politici, economici, sessuali, religiosi, tanti temi caldi e, sì, anche il libero arbitrio potrebbe essere scottante per qualcuno. Quindi fate scelte vantaggiose, badate a cosa conviene dire o non dire al vostro interlocutore.

L'esperimento mentale definitivo

Concludo con un esperimento mentale. Ho detto che non possiamo porre uno o più umani nelle stesse condizioni mentali, fisiologiche, ambientali per osservarne le scelte ripetutamente, però possiamo immaginare di farlo ed elencare le casistiche di ciò che potrebbe accadere. Gli esperimenti mentali hanno una loro utilità, anche nelle scienze, persino nella fisica. In genere, sono esperimenti impossibili da eseguire, però potendo considerare tutti gli esiti per quell'esperimento si possono trarre comunque delle conclusioni. Ed è quello che farò ora.

Immaginiamo per gioco di essere una divinità con potere illimitato sul nostro universo e su questa linea del tempo. Osserviamo una società dall'alto, gente che entra nei negozi, bambini che giocano in piazza, decisioni importanti prese negli uffici di alcune aziende, qualche litigio dentro le mura domestiche, esami sostenuti all'università, ecc. ecc. E fin qui siamo ancora nel teoricamente possibile.

Ora immaginiamo di riportare tutti gli eventi dell'universo, del pianeta, della società in esame, indietro di qualche ora o di qualche giorno e lasciare che gli eventi possano scorrere di nuovo. Cosa potremmo vedere? So che l'operazione è praticamente impossibile, però le cose che potremmo vedere sono logicamente elencabili e, come prima, sono essenzialmente due. Potremmo vedere gli eventi ripetersi tutti uguali a come li abbiamo visti, tante volte riportiamo il pianeta e la società indietro nel tempo, tutte le volte vediamo riaccadere le stesse cose, gli stessi acquisti in negozio, gli stessi giochi tra bambini, le stesse decisioni prese dalle aziende, gli stessi litigi, gli stessi esami passati, ecc. ecc.

L'altra grande categoria di possibilità, è vedere ampia parte degli eventi ripetersi (un totale caso è ovviamente da escludere) e qualche evento cambiare, gente che entra in negozi diversi, differenti giochi tra bambini, qualche decisione aziendale differente, qualche litigio che non si verifica, ecc. ecc. Se dunque vedessimo qualcosa del genere sarebbe dunque la prova che gli umani sono liberi e compiono scelte non determinate rigidamente dalle cause che li precedono?

Se qualcosa cambia, potremmo riportare più e più volte indietro nel tempo quella società e osservare ogni volta qualche cambiamento, ma questo rivelerebbe comportamenti casuali. Se una persona, posta nelle medesime condizioni, certe volte entra in un negozio e certe altre volte in un altro, concluderemmo che sta scegliendo a caso. Di sicuro non sarà un 50 e 50 % magari è maggiormente determinato ad entrare nel primo negozio piuttosto che il secondo, ma quel margine di variazione risulterà casuale ripetendo l'esperimento.

Questo esperimento mentale non è assurdo. Praticamente non si può fare, ma se si potesse fare, si potrebbe ripetere e se lo ripetiamo o vediamo tutto ripetersi uguale o vediamo scelte che di volta in volta un po' variano, ovvero scelte casuali. E non è immaginabile una terza possibilità. Cosa dovremmo vedere per elencare una terza casistica?

Qualcuno potrebbe tentare di individuare il libero arbitrio in una diversa interpretazione degli stessi eventi. Mi spiego meglio, magari pur ripetendosi certe scelte sempre uguali, qualcuno potrebbe dire che quella persona sta ogni volta con il suo libero arbitrio scegliendo la stessa cosa, ma è una scelta libera e non deterministica. Però, ammesso che sia libera, il fatto che è sempre la stessa, ogni volta che torniamo indietro nel tempo e lasciamo scorrere di nuovo gli eventi, significa che è anche predeterminata, magari sarà libera nel senso giuridico visto prima, ma risulterebbe predeterminata di fatto. E questo nega la concezione di libero arbitrio così come l'ho posto e come viene classicamente posto.

Oppure qualcuno potrebbe dare una diversa interpretazione all'evento casuale (quelle scelte che tornando indietro di volta in volta hanno delle variazioni), dicendo che non sono eventi casuali, ma sono frutto del libero arbitrio. Però, se l'universo, il pianeta e la società vengono riportati alle stesse condizioni di un tempo precedente e seguono scelte diverse, non possiamo imputare questa diversità a nessuna nuova ragione (dato che il passato a cui torniamo è ogni volta identico), solo il caso può introdurre questa novità nelle variazioni, comprese le scelte umane. Magari saremo anche liberi in un qualche senso del genere, ma liberi di agire un po' caso, non più di questo.

Ricadiamo sempre nel determinismo o al massimo nella casualità, quindi persino potessimo fare l'esperimento empirico impossibile, avremmo certamente importanti informazioni in più su quanto il caso influisce nelle scelte umane, ma non ci sarebbe ancora spazio per il libero arbitrio. Rimando ad un prossimo post una riflessione più specifica su quali sono le conseguenze del non credere nel libero arbitrio e come compiere scelte ottimali.

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