Conseguenze del determinato arbitrio e come compiere scelte ottimali

Nel precedente podcast abbiamo visto che il libero arbitrio è un concetto paradossale o, in alternativa, che possiamo inquadrarlo in una versione più blanda per cui lo rendiamo compatibile con il determinismo, ma in ogni caso resta vera l'affermazione che per ogni scelta che compiamo non risulta effettivamente possibile compierne un'altra, al massimo avremo un pizzico di casualità nelle scelte umane. Possiamo sintetizzare questa condizione con il termine "determinato arbitrio".

La difficoltà della scelta rimane sempre

Questo però non ci solleva dalla difficoltà di compiere scelte ottimali volta per volta. Come accennato nella scorsa puntata, l'universo non "fa sconti" alle nostre pessime scelte solo perché non crediamo nel libero arbitrio e quindi ci sprona a fare scelte migliori. È un processo che inizia fin da bambini, quando si fa qualcosa di pericoloso o stupido e ci si fa male, ci si ricorda che quell'azione è da evitare. Per sopravvivere dobbiamo usare il nostro cervello (e non solo quello, ma certamente ha un ruolo centrale): è nel nostro interesse processare al meglio i dati di cui disponiamo per fare una scelta ottimale per noi, per i nostri valori e per i nostri desideri, che differiscono grandemente da individuo a individuo. Tutti, entro i limiti delle proprie capacità, cercano di compiere scelte vantaggiose dal loro punto di vista.

Parentesi personale: mi sento libero nello scrivere questi post?

Logicamente, proprio le nostre caratteristiche, la nostra storia e l'ambiente in cui siamo immersi porteranno alla formazione di una scelta che non avrà un'effettiva alternativa. Io che sto scrivendo qui, ora, ho una serie di ragioni per portare avanti questi post e questi podcast. Non sono ragioni particolarmente forti, ma credo sia un peccato non tentare di condividere certe idee che ho dentro. Vorrei lasciare degli spunti, anche anonimi, non si sa mai che contribuiscano a qualcosa di utile per qualcun altro. Non è escluso che io interrompa queste pubblicazioni. Mi piace il risultato finale, la mia capacità di comunicazione non è certo da intrattenimento popolare, è più simile ad una lezione ed essendo da solo non posso andare oltre ad una registrazione audio, perché comporterebbe troppo lavoro, e nel complesso deve rimanere un minimo gratificante realizzare queste riflessioni o chiaramente finirò per interromperle.

Non mi è ben chiaro nemmeno il mio pubblico, certamente qualche amico e contatti sporadici sul Web per ora, ma considerando un pubblico potenziale, probabilmente occasionali persone particolarmente riflessive che in qualche momento specifico della loro vita si pongono alcune domande su certi temi di rilevanza filosofica o temi affini e le cercano sul Web o su YouTube.

Dal mio punto di vista intravvedo l'inevitabilità di questo mio tentativo di comunicazione sul Web. Credo sia piuttosto difficile riuscire ad osservare i propri pensieri e i propri desideri, e analizzando bene i motivi per cui finiamo per fare quello che facciamo. Certamente non potremo osservare tutti i dati realmente coinvolti nel processo, questo ci dà una sensazione di indeterminazione, e come già suggerito da Spinoza nel 1600 è l'ignoranza a contribuire al senso illusorio di libertà sul processo di scelta di cui siamo parte. Più conoscenza abbiamo, più ogni dettaglio risulta chiaro, motivato e quindi anche inevitabile, determinato.

Non voglio insistere nelle dimostrazioni del determinismo eventualmente modulato da un pizzico di casualità, perché l'ho già fatto nel post precedente, ma volevo aggiungere questa parentesi un po' personale perché potrebbe essere curioso per qualcuno pensare che io sia determinato a scrivere quello che scrivo e quale sensazione io provi con questa consapevolezza. Come mai non sento questo senso di libertà nel continuare o interrompere questo progetto divulgativo? Potrebbe essere una parentesi lunga, volendo farla più semplice possibile, ho altri progetti più interessanti che cerco di portare avanti, però spesso sono troppo stanco per quegli altri progetti e quindi ripiego su questo che è in qualche misura interessante, certamente più rilassante per me, anche se probabilmente un po' inutile, spero non del tutto... Quindi è una sorta di passatempo. Non è così importante ai miei occhi, ma perché non dovrei portarlo avanti? Quindi questa scelta si fonda su un equilibrio sicuramente un po' precario, riesco ad analizzarlo abbastanza bene, ma io stesso non vedo tutti i fattori coinvolti, credo sia impossibile per alcuni limiti della mente umana di osservare se stessa all'opera. C'è un margine di incomprensibile anche per me stesso in ogni scelta che faccio, anche se solitamente gli aspetti più rilevanti li vedo ben connessi al mio carattere, alla mia storia, alla situazione in cui mi trovo e ai miei desideri, che tendono ad essere un po' idealisti (meno che in passato, ma certamente più della media).

In conclusione non mi sento libero di scrivere questi post, piuttosto mi sento programmato per questo genere di cose, prima o poi l'avrei fatto, perché sono fatto così e perché oggi esiste il Web e perché in fondo mi piace... il risultato è abbastanza scontato. Chiusa la parentesi personale.

Come compiere scelte ottimali?

Questa è la parte potenzialmente più interessante del negare il libero arbitrio (o dell'asserire il determinato arbitrio). C'è qualcosa che possiamo apprendere da questa cognizione su noi stessi per migliorare le nostre scelte? Proprio mettere a fuoco le conseguenze più pratiche del determinato arbitrio ci aiuterà a maturare un punto di vista che indirettamente influenzerà le nostre scelte quotidiane. Stilerò ora un elenco di punti analizzandoli uno ad uno.

1° conseguenza: essere molto comprensivi con tutti gli umani.

Osservando gli umani come fenomeni, dovremmo considerare le cause dietro ogni comportamento, quindi dovremmo risultare umanamente molto comprensivi, sia con noi stessi che con gli altri. Per esempio, considerando casi molto estremi, come terroristi che credendo di raggiungere il paradiso con un atto di guerra si fanno esplodere da qualche parte, o assassini che compiono atrocità contro altri esseri umani, ma anche egoismi ottusi, magari in politica, che determinano pessime scelte per le generazioni future, tutte queste cose che accadono non hanno un'alternativa fattuale per andare diversamente da come vanno. E se siamo abbastanza calmi, distaccati e non coinvolti nella sofferenza di questi episodi, magari leggendo un libro sulla vita di un terrorista che racconta come è stato cresciuto fin da bambino, oppure seguendo un documentario sulle malattie mentali psichiatriche per scoprire quante cose possono far funzionare male il cervello, o studiando gli intricati incastri culturali, storici e la necessità di difendere gli interessi personali, il retaggio della mafia su molte realtà italiane, allora quei terribili fatti di prima, pur rimanendo terribili, verranno arricchiti da un tale livello di informazione e comprensione dei dettagli che inizieremo a vederli come inevitabili conseguenze.

2° conseguenza: cercare sempre le cause e sminuire il ruolo della morale

Essere comprensivi non significa permettere, accettare o non compiere nessuna azione utile a contrastare qualcosa di orribile, significa semplicemente rimuovere l'alone della morale da tutti i fenomeni umani, considerare che avvengono azioni gradite e azioni sgradite (la cui categorizzazione è ovviamente soggettiva) e intervenire su questi fenomeni umani esattamente come un chimico cercherebbe di capire le reazioni tra diverse sostanze. Facendo una serie di esempi più calzanti, dovremmo chiederci perché in un certo contesto culturale la dimensione religiosa è fortemente presente e si serve di atti violenti per contrastare ciò che diverge da essa. Oppure, dovremmo capire meglio come funzionano gli ormoni o certi pattern neurali che facilitano i disturbi ossessivi. O ancora, dovremmo studiare quale ambiente educativo è più sano per un essere umano affinché non sviluppi disturbi mentali o comportamentali. O controllare se una certa eredità genetica possa esporre al rischio di potenziali disturbi da parte di quel soggetto. Analogamente dovremmo studiare i contesti storici, le relazioni tra le grandi aziende e la politica, i limiti di sviluppo di un territorio e i vincoli che un paese si ritrova a dover accettare, la paura delle singole persone di perdere posizioni o vantaggi dello status quo, ecc.

Questo è lo spirito più fruttuoso da coltivare di fronte ai problemi umani, anche quelli più orribili. Mentre la morale è solo un tentativo di scoraggiare una parte di individui sensibile ai giudizi altrui a compiere certe azioni e promuoverne altre tramite elogi e apprezzamenti. Salvo questo uso strumentale, non aggiunge altro alla comprensione dei fenomeni e si fonda appunto su basi emotive e narrazioni. La morale non mette in discussione se stessa considerando ciò che funziona meglio e ciò che funziona peggio, non tenta di guardare i comportamenti da un punto di vista più imparziale e quando ci si ritrova una pessima morale (si pensi ai contesti religiosi estremisti), questa, per la natura stessa della morale, rimane ottusamente tesa nel tentativo di convincere che è giusto fare quanto essa prevede e condannare ciò che da essa diverge. Credo si possa considerare un comportamento molto primitivo, cioè tipico di un gruppo chiuso, con scarsi confronti col resto del mondo e inevitabilmente prigioniero dell'impulso di sopravvivere a tutti i costi.

Cerchiamo di vedere queste gabbie mentali e di allontanarci da esse per capire piuttosto le cause di ciò che succede a noi e agli altri.

3° conseguenza: la conoscenza è preziosa, imparare a riconoscere gli esperti e seguirli

Per acquisire una solida e sufficiente conoscenza non si può apprendere e scoprire tutto da soli, quindi serve umiltà, considerare i momenti in cui abbiamo creduto qualcosa e ci siamo sbagliati, considerare le volte che qualcun altro ci ha illuminato con informazioni che ignoravamo, rendersi conto di quanto è complesso il mondo ed ogni ambito della conoscenza umana e la necessità di ascoltare chi ha acquisito una conoscenza specifica nel settore che eventualmente ci interessa. Ma non solo umiltà e ascolto, anche capacità di selezione, capacità di farsi domande, pensiero critico e bisogno di coerenza, questi ed altri sono tutti elementi che giocano un ruolo attivo quando decidiamo quali fonti seguire, e non esisterà mai una fonte speciale o un maestro speciale che ci indichi quali fonti seguire o a quali maestri credere. Questo è un punto molto importante e merita addirittura un post a sé stante. Lo farò prossimamente.

Per ora mi limito a dire che noi siamo la prima guida di noi stessi. Da bambini certamente seguiamo i genitori o le figure di riferimento a cui siamo affidati e la mente è in uno stato prevalentemente ricettivo ed imitativo, ma poi con un maggior sviluppo del pensiero critico durante e dopo l'adolescenza, ci ritroviamo in una posizione in cui mettiamo in discussione tante cose eventualmente anche noi stessi, un'età dove i conflitti con i genitori, con la scuola, a volte con la religione, ed anche fra amici, sono frequenti. Negando il libero arbitrio, questo senso apparente di scelta in cosa iniziare a seguire, cosa credere di noi stessi, della vita, della società, è un'illusione di scelta, un'illusione del potere di districarsi in mezzo a tante voci da quella della nonna alla rivista scientifica. Non solo per gli input che riceviamo, ma soprattutto per le nostre risorse personali: la nostra intelligenza, la nostra pazienza, la gestione delle emozioni, la serenità familiare, il benessere o la povertà in cui siamo inseriti, l'educazione ricevuta, i primi rapporti di fiducia instaurati con persone funzionali o disfunzionali, ecc.

Vorrei trovare un termine a questo insieme di elementi che in ultima istanza diventano parte di noi, finiscono nella nostra interiorità e ci rendono non solo più adatti e sensibili a seguire certe fonti piuttosto che altre, ma anche permettono la facile intesa tra persone simili o l'irrimediabile conseguenza di non riuscire nemmeno a dialogare, di sentirsi mondi completamente diversi e magari persino in lotta, o vedersi reciprocamente come persone perse negli errori e nella follia. Per esempio, un ateo è facile che pensi che il religioso sia perso negli errori, così come il religioso penserà che l'ateo sia perso nel peccato. Un termine che indichi questo complesso insieme di fattori potrebbe essere il "terreno storico-culturale" individuale.

Immaginiamo una mente che metaforicamente è nata in un orto, dove ci saranno certe piante, certi semi, certe risorse, certi insetti che possono differire molto da quelli di un altro orto. Se vogliamo interagire con successo con una mente dobbiamo muoverci conoscendo il suo terreno storico-culturale o sarà come spargere semi destinati a morire o fare azioni che uccideranno le piante seminate anziché aiutarle. Fuori di metafora, l'approccio argomentativo valido per noi, può essere incomprensibile o inutile per un altro. Quindi ribadisco che la conoscenza è preziosa, ma non solo per chi ha la fortuna di trovarsi in un terreno fertile per essa e maturare l'attitudine a selezionare ciò che la promuove, ma anche la conoscenza delle cause dell'ignoranza altrui e dei terreni storico-culturali altrui è molto importante per non risultare eventualmente aggressivi o certamente infruttuosi, per non perdersi in dialoghi senza beneficio per alcuno.

Se abbiamo la fortuna di ritrovarci in un terreno fertile per la conoscenza e quindi capaci di riconoscere e seguire gli esperti, questo torna estremamente utile nell'ottica di compiere scelte ottimali. Sarei lieto di poter convincere una mente disturbata sviluppatasi in un terreno storico-culturale avverso, di prendere le distanze dal proprio orto, dai legami attuali (seppur doloroso in un primo momento) e iniziare ad intessere nuovi rapporti, nuove radici nella speranza di farle iniziare da quel momento a compiere scelte progressivamente migliori per se stessa. Ma non tenterò nemmeno di lasciare un simile messaggio, dato che non esiste discorso generico che si possa fare, senza conoscere veramente bene e accettare con pazienza il terreno di partenza di una specifica persona, per instradarla, sempre con pazienza e gradualmente, verso terreni migliori. Però, è una raccomandazione che posso lasciare a chi un giorno si trovi a dover interagire con persone che vorremmo migliorare, magari perché nostri parenti o colleghi o con cui in qualche modo abbiamo a che fare.

Usare lo scherno o lanciare frecciatine, magari verso chi è vittima di fake news o è stato cresciuto in contesti religiosi che riteniamo infantili o superficiali, per quanto onestamente credo si possa fare ben poco per migliorare queste situazioni, è certamente un danno agire senza comprensione, senza pazienza, senza il tentativo sincero di offrire e lasciare una possibilità di incamminarsi in un terreno culturale che riteniamo più proficuo, ci precludiamo la possibilità che un numero, probabilmente piccolo, di persone in quel genere di condizioni possa iniziare a venirne fuori. Fosse anche per molto pochi tale beneficio, vale la pena alimentarlo. Se è chiaro che il libero arbitrio non esiste (o che l'arbitrio è determinato), dovrebbe essere spontaneo risultare molto comprensivi.

4° conseguenza: restare distaccati dagli eventi storici collettivi

Comprendere il determinato arbitrio significa che gli eventi storici dalle guerre alle scoperte, dalle catastrofi naturali alle risorse di un territorio, dalle malattie all'evoluzione biologica sono una conseguenza inevitabile di questo mondo e della specie umana così come è emersa dalla selezione naturale. C'è il rischio di fraintendere quel che voglio comunicare con "restare distaccati dagli eventi storici collettivi", non ho usato il verbo "rassegnarsi" agli eventi storici perché è inesatto anche se è un facile fraintendimento.

Così come abbiamo già visto, fare scelte non ottimali per noi stessi è un danno per noi e se danneggiarci è contro i nostri interessi, verosimilmente, nei limiti delle nostre capacità mentali e fisiche, cercheremo di evitarlo. Quindi se "rassegnarsi" all'evento storico di una guerra significa andare incontro ai soldati nemici per ricevere una fucilata in testa o essere arrestati in condizioni di miseria, è chiaro che non ha senso "rassegnarsi" in questo modo. Questo è un esempio raro ed estremo, però dovrebbe mettere in evidenza che asserire il determinato arbitrio non significa iniziare a fare scelte stupide, né ci solleva dalla necessità di usare il nostro cervello per continuare a fare scelte vantaggiose perché è nel nostro interesse, infatti semplicemente le facciamo, agiamo nel nostro interesse. Ma queste cose sono state argomentate nel post precedente, eventualmente tornate a rivederlo.

Dal nostro personale punto di vista, siamo costretti dai desideri e dalle paure a scegliere di volta in volta una condotta da seguire. E il cervello funziona in modo sano quando prova ad usare le sue risorse per compiere una buona scelta, non quando si rassegna, quindi magari smette di elaborare, smette di pianificare il futuro prossimo, si abbandona. Seppur resta vero che impiegare le risorse al meglio, o deprimersi, sono sempre conseguenze di cause che per fortuna, o sfortuna, ci hanno portato a quel momento presente, chi ha la fortuna di funzionare meglio trae vantaggio da tutte le cognizioni, insegnamenti, informazioni che possono rendere le sue scelte ancora più vantaggiose. È per questo, per esempio, che continuo a scrivere questo blog, potrà essere una risorsa utile per chi saprà usarla e non sarà certo una libera scelta capire o non capire, trarre vantaggio o meno da quel che comunico.

Chiarito che personalmente la rassegnazione è un errore e che comunque è scoraggiata dal prevalente modo di funzionare degli umani, basato sulla lotta per la sopravvivenza e la ricerca dei propri interessi, è anche vero che considerare tutto il resto del mondo come una conseguenza inevitabile e fuori dal nostro controllo, è un fatto da accettare, se si comprende il determinato arbitrio. Questo non dovrebbe avere un impatto diretto sulle azioni quotidiane che prevalentemente sono dettate da altre ragioni. Però, se per qualche ragione ci è capitato di sentirci delusi, amareggiati, arrabbiati per le terribili guerre compiute dagli umani, in passato e tutt'oggi, dagli abusi e dalle ingiustizie di ogni natura, e dall'inquinamento, che è giusto contrastare, ma quel che ormai è stato prodotto sta intorno a noi e i danni compiuti sono già un lungo irrimediabile elenco, se tutto questo ci causa una qualche forma di sofferenza e vorremmo cambiarlo, combatterlo, contrastarlo, dovremmo prima renderci conto che quel tipo di sofferenza è legata alla speranza illusoria di cambiare la storia.

È successo che la storia umana ha preso direzioni diverse rispetto al passato, ma comprendendo il determinato arbitrio, lo stesso cambiamento è conseguenza. Non c'è la reale possibilità di contrastarlo, anche quando un gruppo di individui si oppone ad un regime dittatoriale, per esempio, e riesce a cambiarlo, è anch'essa una conseguenza che sicuramente lo stesso regime portava con sé. Se fossimo direttamente coinvolti in regimi che limitano le libertà individuali, per esempio, omosessuali che nascono in una nazione che li manda in galera se vengono scoperti, è chiaro che c'è chi si ribellerà, chi cercherà di fuggire, chi diffonderà notizie per far conoscere realtà sommerse, ecc. Tutte queste reazioni non sono frutto di rassegnazione, ma sono pur sempre un'ovvia conseguenza di come è l'essere umano.

Non è un'operazione facile, ma credo sia vantaggiosa, riuscire a distaccarsi dagli eventi storici del pianeta e della specie umana, specie se abbiamo una sensibilità che ci porta, come dicevo, a soffrire per i tanti eventi disastrosi passati e soprattutto presenti. Non è rassegnazione perché individualmente continueremo a fare il possibile per avere un presente ed un futuro migliore nel nostro interesse (con tutti i nostri limiti ovviamente, per qualcuno fare del proprio meglio significa fare un disastro, chiaramente questo succede, più tutte le vie di mezzo). Il punto è vedere il mondo e la storia come conseguenza e agire attivamente nel nostro interesse quando siamo coinvolti negli eventi.

5° conseguenza: essere consapevoli che agiamo sempre per un motivo personale

Ho già detto che ci sono sempre cause dietro il nostro agire, ma più precisamente avremo una serie di motivi personali che ci portano a compiere le scelte che facciamo. Potrei usare il termine "egoismo", ma è un termine facilmente fraintendibile perché a seconda dei contesti viene inteso in molti modi. In pedagogia come una fase infantile di passaggio; moralmente parlando ha un'accezione negativa in cui l'interesse personale è l'unica cosa considerata dall'azione dell'individuo (prospettiva poco realistica ritengo e ai confini del patologico); in economia si usa il termine come naturale condizione dell'individuo che cerca di massimizzare il proprio interesse, e non manca il concetto di "egoismo allargato" in cui si considera non solo il proprio bene, ma anche il benessere collettivo che indirettamente si traduce in un bene per noi. È pur vero che "essere consapevoli che agiamo sempre per un motivo personale" sembra essere ben riassunto dal termine "egoismo consapevole" che ben si coniuga con "egoismo allargato" e se vogliamo anche con "egoismo lungimirante".

Insomma, chiarito che bisogna fare attenzione ai fraintendimenti e che abbiamo numerosi contesti con diverse accezioni, quello che intendo è che maturare una scelta significa considerare tutta una serie di motivi personali che tengono conto di ciò che percepiamo "parte di noi". Sottolineo che è più importante ciò che percepiamo nelle nostre scelte di ciò che siamo realmente, che è tutt'altro che chiaro e meriterebbe un post a sé. "Parte di noi" può essere la famiglia, gli amici, il partner, il nostro cane o il nostro gatto, il quartiere di una città a cui ci siamo affezionati, tutto ciò verso cui nasce un legame, se esso viene "tagliato", si soffre e si ha la sensazione di aver perso qualcosa di sé. Credo sia abbastanza naturale e ovvio che crescendo la nostra identità si "allarga" perché comprendiamo di dipendere da tante altre persone e anche dall'ambiente, comprese altre specie viventi.

Bisogna inoltre precisare che la cultura, la propria sensibilità, la lungimiranza aiutata dall'intelligenza e dalle conoscenze acquisite, incidono profondamente su ciò che siamo in grado di percepire in relazione con noi o completamente fuori dalle nostre considerazioni. Quindi, se ritengo ovvio che ci sia questa tendenza, non è ovvio quanto un individuo "allargherà" la propria percezione di se stesso in relazione con tutto ciò da cui esso dipende.

C'è anche una parte più automatica nelle scelte, che è influenzata dagli istinti, dalle programmazioni innate o acquisite (che possono essere iniziare a correre quando si realizza che un predatore si sta avvicinando a noi o dare risposte automatiche perché in contesti sociali quasi tutti si aspettano un certo tipo di risposta e altrimenti daremmo scandalo). La parte automatica o semi-automatica può includere anche l'empatia, l'istinto materno o paterno, i "neuroni specchio", ecc. Abbiamo anche la parte più ragionata delle scelte, che è articolata dalla razionalità, ma si fonda sui desideri e sulle paure che nuovamente sono qualcosa che ci ritroviamo e non scegliamo.

Con "egoismo consapevole" intendo che occorre sempre tener presente che ogni azione che compiamo si fonda su questo terreno di istinti, programmazioni innate o acquisite, desideri e paure, e quindi non ha senso compiere azioni per acquisire valore da un punto di vista morale (per esempio, sentirsi "più buoni" o meritevoli di un paradiso o "più altruisti", "più lodevoli" e simili). In qualche modo ciò è parte della conseguenza dello sminuire il ruolo della morale, possiamo fare scelte vantaggiose, ma è illusorio cercare di fare scelte "nobilitanti". Ed è bene essere consapevoli di questo. Per fare alcuni esempi, quando si fa un gesto di carità dando qualche soldo ad uno sconosciuto o inviando soldi ad un'associazione che si occupa di un problema anche distante da noi o quando si partecipa ad un'attività di volontariato o quando regaliamo qualcosa o quando offriamo il nostro tempo ad ascoltare qualcuno o quando modifichiamo qualche aspetto del nostro stile di vita a favore dell'ambiente, ecc. In tutti questi casi ci sono sempre delle motivazioni riconducibili alla percezione di ciò che siamo e di ciò che consideriamo "parte di noi", per cui otteniamo (o speriamo di ottenere) un vantaggio indiretto oppure proviamo una qualche forma di gratificazione o persino certe caratteristiche innate ci spingono verso comportamenti generalmente considerati generosi ma per pura combinazione (non dimentichiamo che gli umani sono selezionati dall'ambiente come animali sociali, non possono vivere isolati, quindi empatia, forme di mutuo aiuto, difesa della prole sono nel DNA e nella chimica umana prima ancora che nella cultura e quindi prima ancora che nelle scelte consapevoli).

A scanso di equivoci, desidero sottolineare che gli esempi di generosità poco prima elencati non sto dicendo che vadano evitati o non siano apprezzabili, però se siamo onesti con noi stessi dovremmo essere in grado di individuare la motivazione che ci spinge ad agire in quel modo e sicuramente ce ne sarà una o più di una. Auspico che ogni scelta non si fondi su illusioni, magari spesso derivanti da un'impostazione religiosa come "guadagnarsi il paradiso" o essere "meritevoli" dal punto di vista di un dio o anche generalmente da un'idea di morale. Auspico che si tenga presente quando magari si partecipa ad un'attività di volontariato cosa ci aspettiamo di ottenere prestandoci a quel servizio. Ed infine auspico una migliore consapevolezza del proprio carattere che può spingerci ad aiutare gli altri ma in modo ingenuo ed eccessivamente logorante per noi, talvolta certe tendenze caratteriali vanno riconosciute e gestite razionalmente per mantenere un sano equilibrio tra energie spese per se stessi ed energie spese per gli altri. Ci sarà sempre qualcosa che abbiamo bisogno di ottenere ed è saggio esserne consapevoli senza giudicarci negativamente o positivamente per ciò di cui risultiamo avere bisogno o che di volta in volta cerchiamo con le nostre scelte.

6° conseguenza: accettare la propria "programmazione" e trovare un equilibrio sociale

Mi rendo conto che quello che siamo, che desideriamo o di cui abbiamo paura, non sempre è compatibile con la società in cui siamo inseriti. Se da una parte è bene essere consapevoli dei motivi personali nelle nostre scelte ed è giusto guardare ad essi senza giudizio e per comprendersi, è anche vero che se desideriamo cose dannose per gli altri, illegali o in altro modo problematiche, è chiaro che serve trovare un equilibrio tra "come ci ritroviamo ad essere programmati" e "cosa si aspetta la società da noi". Qui lo metto per esplicito, ma salvo casi patologici impariamo a fare questo fin da bambini ma ancora di più durante l'adolescenza. Spesso ciò che vogliamo e le regole che ci vengono date sono in conflitto, capire le ragioni di certe regole certamente aiuta a desiderare in prima persona un rapporto più armonioso con gli altri. Non voglio "dare ricette" perché ogni caso è a sé e l'unico intento era sottolineare che i motivi personali dietro le scelte non sono mai "sbagliati", sono quello che sono, ma aggiungendo lungimiranza (se si ha la fortuna di averla) occorre trovare un equilibrio anche con ciò che magari non ci interessa, ma da cui dipendiamo o che in qualche modo ci condiziona e dobbiamo farci i conti.

7° conseguenza: agire in prima persona e cercare di migliorare la propria vita

Voglio sottolineare una conseguenza che a qualcuno potrebbe suonare paradossale asserendo il determinato arbitrio, ma in realtà l'ho già ribadito a più riprese e lo farò un'ultima volta. Con il nostro cervello ed ascoltando i nostri desideri ed anche le nostre paure, ascoltando tutto di noi stessi e usando le nostre conoscenze più solide possiamo compiere una scelta migliore rispetto a scelte superficiali o addirittura a condotte passive in cui si attende che la realtà intorno a noi finisca per costringerci in una direzione, magari per evitare la fatica e i rischi di una scelta. Fare scelte peggiori avrà conseguenze peggiori, questa è la principale "molla" che ci spinge a fare scelte almeno decenti. È anche importante trovare un equilibrio tra difficoltà di ponderazione e azione, perché ipervalutare ogni aspetto può essere anche quello un serio problema e non una risorsa.

Il punto cruciale qui è capire che se le scelte sono basate su motivazioni personali e ognuno ha le sue (il concetto di egoismo visto prima), tanto più agiremo (nei limiti del possibile) da qualcosa che nasce dalle nostre motivazioni e tanto meglio sarà per noi, tanto più lasceremo che altre persone ed altre circostanze ci costringano a certe scelte e meno probabilmente saranno buone per noi. Purtroppo il quadro si complica con la parziale ma rilevante ignoranza sul funzionamento della specie umana, un tema attorno al quale ruoto con i tanti post che ho in mente di scrivere. Un ulteriore complicazione è data dai limiti materiali, finanziari, intellettivi, educativi, ecc., che precludono tante possibilità. Insomma, una scelta buona per noi potrebbe non necessariamente portarci verso una vita soddisfacente, però resta vero in linea di massima che è meglio seguire una strada che cerca il più possibile di tenere in conto le nostre scelte piuttosto che aspettare o rassegnarsi ad una configurazione di eventi che sarà meno clemente di quanto noi saremmo con noi stessi.

Non è un paradosso cercare di agire nel modo più vantaggioso e credere che non c'è alternativa, di volta in volta, alla scelta compiuta. Questa sensazione di contraddizione nasce dal tentativo di vedere noi stessi costretti nel prendere una scelta, ma il punto è che quella parte di noi che "vede" i nostri pensieri, le nostre ragioni, sente le nostre emozioni, ecc., non può "vedere" se stessa. Se lo facesse ci sarebbe un'altra parte di noi stessi che vedrebbe quella parte, ma quest'ultima non vedrebbe se stessa. Sappiamo che esistono specchi per la luce, ma nel caso della coscienza questa metafora non funziona. La coscienza "vede" i colori e le forme sulla base delle onde elettromagnetiche che arrivano dagli oggetti illuminati, uno specchio può deviare questo flusso di onde verso i nostri occhi e possiamo vedere quella parte di noi (il corpo) che è un oggetto illuminato. Il corpo emana luce e lo specchio riflette quella luce, ma il corpo non è la luce che esso emette, piuttosto è molto molto di più di quel piccolo aspetto. Se la coscienza emettesse qualcosa e avessimo uno "specchio" per riflettere quel qualcosa, saremmo ancora ben lontani dal vedere noi stessi o una coscienza in generale. Per di più, la coscienza nel suo aspetto più astratto e caratterizzante è qualcosa che "vede", percepisce, "prova", "sente", è un osservatore. A tal punto che noi vediamo che c'è qualcosa di noi che vede, ovvero siamo consapevoli di essere coscienti, ma solo per deduzione comportamentale riteniamo che gli altri simili siano dotati di coscienza perché non abbiamo modo di vederlo. Non c'è dunque uno specchio per il fenomeno della coscienza e anche ci fosse non sarebbe sufficiente per affermare di vederla.

Per quanto possiamo auto-osservarci sarà impossibile vedere interamente noi stessi e sappiamo per certo che dentro e attorno a noi ci sono numerosissime variabili che influenzano il nostro comportamento e le nostre scelte e di cui noi non ne siamo direttamente coscienti (es. gli ormoni, lavori anomali del sistema immunitario, anche la flora batterica intestinale, tutte le aree del cervello che non sono direttamente connesse con la coscienza vigile, ma mandano segnali a tutto il sistema, ecc.). Quindi è impossibile vedere l'immensa e complicata serie di variabili che ci porta a compiere la scelta che di volta in volta compiamo, possiamo solo dedurre con la logica i comportamenti possibili: determinismo e caso o un mix dei due, come visto in un post precedente. Questa parziale cecità nei confronti di noi stessi renderà impossibile "vedere" come siamo determinati dall'insieme di cause dentro e attorno a noi. Quella parte di noi, che non vediamo e che certamente è implicata nel processo di scelta, sicuramente "vede" e controlla tutte le ragioni e le sensazioni che può soppesare, ma non potendo mai vedere se stessa, non potrà mai vedere che essa stessa è determinata da altre cause che appunto non vede e non controlla. Possiamo solo dedurlo.

Perché sollecito i miei potenziali lettori ad impegnarsi a fare scelte migliori se credo che non c'è alternativa alle mie e alle altrui scelte? È una questione di comprensione: è tendenzialmente spontaneo cercare di diffondere una cognizione che si ritiene importante e corretta una volta che la si vede come importante e corretta. Non penso seguiranno grandi benefici ovviamente, ma reputo più utile cercare di far chiarezza sui punti illustrati piuttosto che tacerli. Inoltre, se dovessi un giorno confrontarmi sul tema del libero arbitrio, avrò anche alcuni post da condividere per risparmiarmi la fatica di farlo ogni volta e curati con tutta la dedizione necessaria affinché siano più chiari e completi possibile. Quindi ci sono delle motivazioni che mi portano a comunicare quanto comunico e non ci sono motivazioni rilevanti per cui non dovrei farlo, semplicemente sta andando così e non ho ragioni di oppormi a questo. Ritengo l'arbitrio determinato e reputo prezioso l'impegno nel fare scelte migliori. Siamo già spinti in questa direzione e non c'è ragione di opporsi, anzi se si realizza che accantonare la pigrizia e diventare sempre più abili nel fare scelte migliori ci porta maggiori vantaggi, è egoisticamente (nel senso prima visto) nel nostro interesse continuare su questa strada. Posso dire di aver avuto la fortuna (non certo il merito) di cogliere questa comprensione e desidero comunicarlo per i motivi personali prima elencati, consapevole che come andrà con questo messaggio è già una conseguenza di tutte le cause in cui siamo immersi.

8° conseguenza: l'insieme di cause connesso ad una entità rende questa responsabile dei suoi effetti

Voglio concludere con un ultimo focus. Nel post "Analisi logica e negazione del libero arbitrio" ho espresso più accuratamente come un insieme di cause determina un insieme di effetti, suggerendo anche una formalizzazione semplice ma di applicazione generale. La relazione tra cause ed effetti è il nodo centrale del determinismo che al massimo ammette una piccola parte di casualità. È importante tener presente che queste relazioni tra insiemi di cause ed insiemi di effetti sono legate ad una entità, seppure le entità ovviamente interagiscono tra loro, c'è una concentrazione di cause in un determinato soggetto e questo è alla base del concetto di responsabilità.

Sottolineo ciò perché potrebbe esserci la tendenza a "spalmare" troppo il determinismo all'intero universo. Per esempio, se il concetto di merito è più legato alla fortuna di essere come si è, piuttosto che alla "virtuosa volontà" che la morale vorrebbe che ogni individuo "tirasse fuori" da se stesso, potrebbe esserci la tendenza a dimenticare l'importanza del soggetto. Quindi inventori o esploratori che hanno lasciato il segno nella storia potrebbero essere "appiattiti" a fenomeni relativi a circostanze storiche favorevoli ed altri eventi personali fortuiti, e questo è vero da un punto di vista generale. Però, è anche vero che le circostanze ed altri eventi fortuiti hanno portato ad una entità che può essere una singola persona (o altro, come il fortunato pianeta Terra o qualsiasi oggetto "speciale") che è diventato un insieme di cause coerente, un sistema "speciale" (da un certo punto di vista), da cui ci si può aspettare altre azioni o risultati che considereremo "meritevoli" o "speciali" (da un certo punto di vista).

Quindi non dimentichiamo che anche se è legittimo pensare all'intero universo come un flusso di cause ed effetti ed ogni merito ed ogni colpa potrebbe essere generalmente attribuita all'universo stesso, insomma ad una "mera conseguenza fisica", è importante tener presente tutte le entità che sono responsabili di certe conseguenze. Possono esserlo tanto le persone, o gli animali in generale, quanto gli oggetti. Non supporto, come ormai è chiaro, i concetti di merito e colpa, però non viene meno il concetto di responsabilità, nel semplice senso che certe conseguenze derivano da una certa entità e ci si può aspettare che conseguenze simili deriveranno ancora da quella entità. Quindi quella entità cercheremo di gestirla o migliorarla o incoraggiarla a seconda della condizione in cui si trova, così da promuovere le conseguenze desiderate, prevenire le conseguenze indesiderate e riconoscere il valore o il pericolo di ogni entità a prescindere dall'idea di merito o di colpa.

Conclusione

Credo di aver focalizzato tutti i punti che desideravo fossero ben chiari. Quindi condenso ora quanto è emerso. Comprendere il determinato arbitrio significa essere molto comprensivi, significa ricercare le cause di certi effetti adottando un approccio che è alla base dell'atteggiamento scientifico. Questo vi renderà più propensi ad analizzare e dunque mettere in discussione sistemi di credenze che hanno una base prevalentemente emotiva ed imitativa, come le religioni o la morale. Risulterà evidente come la conoscenza è estremamente preziosa per capire i meccanismi attraverso i quali noi stessi funzioniamo e quindi assecondarli in modo da massimizzare il nostro personale beneficio, dato che bene o male comunque lo ricerchiamo, quindi è meglio diventare abili in questa ricerca. Così come è meglio agire in prima persona nel tentativo di realizzare il nostro benessere perché è scarsamente probabile che circostanze esterne o altre persone, impegnate nella ricerca del proprio benessere, faranno attivamente qualcosa per noi. La tendenza ad agire in modo vantaggioso dal proprio punto di vista è già una "programmazione" inscritta in noi, quindi realizzare che un approccio è più vantaggioso (se riusciamo a capirlo e abbiamo abbastanza risorse personali per attuarlo), risulterà una semplice conseguenza attuarlo.

Capire le relazioni e le dipendenze con la complessa società in cui viviamo e le persone attorno a noi e le altre specie viventi e l'ambiente, ci permetterà di "allargare" il nostro egoismo e renderlo più lungimirante, ciò è chiaramente auspicabile. E pur riconoscendo l'utilità della lungimiranza e delle azioni non strettamente dovute ad un nostro immediato beneficio, è saggio restare distaccati dagli eventi storici collettivi, che in ogni caso seguono dinamiche causa-effetto che è illusorio credere di poter controllare. In qualche modo, la responsabilità della specie umana è nella specie umana stessa (intesa come fenomeno collettivo) e non nei singoli individui. Detto diversamente, la specie umana è una delle conseguenze della natura terrestre e noi, come singoli individui, siamo estremamente subordinati in questa complicatissima dinamica di cause che non può essere nemmeno abbracciata dalla nostra immaginazione. Si pensi all'esistenza dell'homo sapiens che riteniamo straordinaria ma è conseguenza di dinamiche che non erano in mano a nessuno homo sapiens prima della sua comparsa, occorre accettare il flusso di eventi dell'universo che manifesta cose magnifiche e terribili (dal nostro punto di vista) e non dimenticare che esso fisicamente prevale su tutto ciò che noi siamo. Questo è il determinismo e dove esso manca c'è il caso.

Infine, la rassegnazione come sentimento psicologico può seguire come fraintendimento di fronte a quanto asserito, ma è disfunzionale per compiere scelte vantaggiose dal nostro punto di vista e noi siamo bene o male "programmati" per questo. Quindi avremo già dei meccanismi, almeno la quasi totalità di noi, che ci preserverà anche in modi non razionali da quel genere di rassegnazione. E comunque resta un errore e non una conseguenza del determinato arbitrio. La cognizione più illuminante del determinismo è capire ed accettare che noi siamo "programmati", a diversi livelli e in diversi modi, e quindi la conoscenza del nostro funzionamento è la cosa più preziosa per noi stessi, assecondarla e gestirla in modo da massimizzare il nostro benessere in un'ottica lungimirante è quanto di meglio possiamo fare. Se riusciamo a capirlo, sarà una semplice conseguenza impegnarsi in quella direzione. I risultati poi dipenderanno dalle nostre personali risorse e dalle condizioni che ci sono capitate.

Commenti

  1. Il concetto di "libero arbitrio" è tutt'ora molto discusso (ha affascinato anche me), e non del tutto chiaro (l'impressione che ne traggo è che persone diverse intendono con questo termine cose diverse), ma è sicuramente causa di diversi mali, fondati sui concetti di "merito" e "colpa" che giustamente citi.

    Se partiamo dal presupposto di un universo prevalentemente deterministico, non so quanto sia possibile mettere in atto l'attività di autoriflessione e ottimizzazione delle scelte di cui parli, anche se sono d'accordo sul fatto che quanto più sappiamo, anche (soprattutto?) su noi stessi, migliori saranno le conseguenze delle nostre scelte.

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    1. Avere definizioni diverse di libero arbitrio è inevitabile e ho cercato di presentare le due più rilevanti (praticamente contesto religioso e contesto giuridico). I concetti sono formulati dagli esseri umani, quindi, soprattutto scendendo nei dettagli, è facile che c'è chi voglia mettere a fuoco certi aspetti e chi voglia evidenziarne altri. Però, occorre tener presente che se il concetto non è chiaro è perché non è stato definito bene. Sicuramente c'è una parte di realtà umana oggettiva alla quale possiamo "agganciarci" con una descrizione, ma il modo in cui lo facciamo può essere teso ad evidenziare un aspetto piuttosto che un altro. Quindi la prima cosa da fare è chiarire bene che cosa si intende indicare con il concetto di "libero arbitrio". Una volta chiarito quale fenomeno si sta indicando, allora si può analizzare sempre meglio.

      L'attività di autoriflessione e ottimizzazione delle scelte può esistere come conseguenza evolutiva della specie umana. Prima dell'homo sapiens, la foresta pluviale, che accoglieva i progenitori dei primati da cui siamo discesi, si è ritirata ad un certo punto della storia lasciando più spazio alla savana che era un ambiente maggiormente ostile e richiedeva una ricerca delle risorse alimentari più astuta (carcasse da rimediare dopo la caccia dei predatori maggiori, ossa e semi da rompere, maggiori spostamenti e dunque migliore orientamento nello spazio, ecc.), questo ambiente più ostile ha selezionato progressivamente i primati più intelligenti. Sono stati costretti a migliorare le loro scelte e questo è chiaramente compatibile con il determinismo.

      Assai gradualmente e attraverso tanta selezione si è giunti a diversi homo che hanno vissuto contemporanemente sulla Terra finché per ragioni non facili da ricostruire l'homo sapiens ha avuto la meglio sugli altri che si sono progressivamente estinti. E per tempi molto lunghi (molte decine di migliaia di anni) si è rimasti con una cultura primitiva e verosimilmente impegnati nella lotta per la sopravvivenza. Difficile dire quando, sicuramente l'agricoltura e l'allevamento sono considerati elementi chiave, ma almeno una parte privilegiata delle prime civiltà ha conosciuto l' "ozio", la calma di riflettere, la possibilità di progettare più a lungo termine e, seppure ovviamente progressivamente, l'autoriflessione ha trovato spazi sempre più favorevoli (forse simbolicamente tra i primi inizi possiamo mettere i disegni e i racconti di caccia nelle caverne), però fino a qui tutto si può ancora inquadrare come conseguenza, frutto del determinismo (magari variato da un "pizzico" di casualità, ma molto spesso è caos deterministico).

      Può l'autoriflessione "essere uscita" dal determinismo? A prima vista capisco che si può avere questa sensazione, però come ho illustrato in due post (soprattutto il primo dedicato al libero arbitrio) non abbiamo uno "spazio" logico per mettere qualcosa che non sia determinismo o caso. Però l'autoriflessione esiste (e persino un software, entro certi limiti, può elaborare informazioni che includono una descrizione di se stesso, stiamo assistendo in questo periodo al fiorire delle IA generative che mettono in campo anche questa dinamica) e non c'è motivo di vederla non compatibile con il determinismo.

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    2. Infine, il costante miglioramento delle scelte è anch'esso ben compatibile con il determinismo. Come scrivevo, siamo costretti dalla vita a compiere alcuni importanti miglioramenti del nostro comportamento, oppure un bambino non diventerebbe mai adolescente, né un adolescente diventerebbe adulto. Può anche capitare che qualcosa si interrompa in questo sviluppo e possiamo avere delle patologie, ma non c'è nulla che invalidi il determinismo.

      L'unica cosa paradossale rimasta è che io inviti a migliorare le scelte sapendo che "non è possibile cambiarle", ma anche per questa critica avevo anticipato una risposta. Le ragioni per cui scrivo questo blog (nella parentesi personale iniziale) sono deboli, non del tutto chiare a me stesso. Più o meno ho una forte propensione a riflettere e mi fa piacere lasciare qualcosa per iscritto, oggi abbiamo il Web e perché non fare un blog? È abbastanza ovvia come conseguenza per quanto capisco di me stesso ed è anche vero che non poggia su nessuna solida decisione. È più un inseguire quel che mi piace per il momento, finché funziona. Né sto cercando di fare alcuna "predica", chi ci tiene al libero arbitrio non sarà mai aperto ad una riflessione come l'ho esposta, non è un "target" che raggiungerò mai e se lo raggiungessi per caso, non ci sarebbe alcuna "presa".

      Il mio scritto è dettato dalla voglia di far chiarezza in me ed in altre persone che condividono il mio approccio e hanno lo stesso desiderio di chiarezza. Questo "target" qui è probabilmente già orientato ad aver cura delle proprie scelte e della conoscenza sia della società in cui vivono sia di se stesse (nei limiti delle risorse di ognuno ovviamente). Ed io so già che migliorare le proprie scelte è già parte della nostra programmazione, a prescindere da cosa crediamo, quindi non c'è alcun motivo di convincere qualcuno a farlo. Credo sia utile mettere a fuoco questa comprensione per me stesso e, se è utile per me, è facile che sia utile anche per qualcun altro ed è tutta una conseguenza. Non c'è atto eroico, non c'è una "volontà supernaturale", non c'è un miracolo che introduce eventi "superfisici" (e persino in questo caso il fenomeno proverrebbe da un "mondo" di cause ed effetti per cui avremmo una reiterazione della dicotomia "determinato o casuale")...

      Semplicemente sta accadendo e non potremo mai "vederci determinati" da ciò che ci condiziona, perché molti di questi fattori iniziano la loro catena di cause-effetti fuori dai confini della nostra coscienza (pattern neurali, ormoni, flora batterica, sistema immunitario, espressione genica...). Sappiamo che queste cose influenzano pensieri, emozioni, comportamenti, risorse personali e se non possiamo vederle, non abbiamo coscienza di una importante parte di fattori che concorrono a determinarci. Dunque per forza di cose non vedremo mai in che modo esatto siamo determinati. Una chiara sensazione di determinismo osservando noi stessi è impossibile provarla, ma solo perché non possiamo vedere tutte le cause che dovremmo vedere.

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