Concepire un rapporto equilibrato tra individuo e specie
Mi è capitato qualche volta di sentire una certa pressione nel dover offrire un qualche contributo alla società o alle generazioni future. Per quanto tendenzialmente credo sia auspicabile una propensione verso il miglioramento, i benefici del proprio impegno possono giungere dopo la vita di una persona o non giungere affatto. Quindi c'è sicuramente un equilibrio da non perdere di vista tra quello che l'individuo fa per i propri desideri e quello che l'individuo può fare per gli altri.
Un chiarimento sulla figura degli 'altri'
Tutti gli individui muoiono. Si può fare qualcosa di vantaggioso per se stessi o per qualcun altro, come un parente o un amico, ma sempre in un'ottica temporanea. Però, ci sono delle strutture o anche solo possibilità sociali che proseguono molto oltre la vita degli individui. Quando pensiamo alla società, essa è una struttura sociale per cui solitamente si contribuisce con il lavoro, con i figli, o altri impegni per la propria nazione. Però, la società è un concetto un po' ristretto, con i decenni e con i secoli, le società possono cambiare molto e quindi preferisco pensare al futuro considerando le generazioni future. È secondario quali paesi prospereranno, quali si fonderanno, come cambieranno le culture e la lingua, sono tutte cose che verranno con la storia e non possiamo pianificarle. Questa propensione ad aiutare la continuità della struttura sociale di cui si è parte, certo non è presente in tutti gli individui, ma di sicuro in una percentuale non trascurabile della popolazione e verosimilmente è un effetto indiretto degli adattamenti della specie umana.
Il successo adattativo della specie umana è dato dall'insieme di individui che hanno una maggiore probabilità di riprodursi e di sopravvivere (almeno fino alla maturità dei propri figli). La parte di individui che ha minore probabilità di sopravvivere e di riprodursi ovviamente diminuirà con le generazioni lasciando il posto ai più adatti. I fattori che contano in questa selezione non sono solo quelli genetici e ambientali, ma anche quelli culturali. Di fatto, tutti i fattori, non importa quali, che influiscono sulla probabilità di riprodursi e di sopravvivere vengono selezionati (positivamente o negativamente) dalle dinamiche ambientali. E l'ambiente, dunque, non è solo quello fisicamente attorno a noi (es. territorio, clima, piante, animali), ma anche quello chimico dentro di noi e persino quello culturale che passa attraverso le nostre menti.
Quindi, quando facciamo qualcosa per gli 'altri', e non c'è un destinatario specifico come il proprio partner o un amico o un famigliare, anche se possiamo avere in mente concetti astratti diversi, per esempio la nazione o la società o l'occidente, di fatto facciamo qualcosa per la specie umana. Le astrazioni, i costrutti e le illusioni con cui lavora la mente umana sono un espediente che certi individui si ritrovano e la causa di fondo per questo espediente, positivamente selezionato, è il successo adattativo della specie umana. In ultima istanza, se non stiamo facendo qualcosa strettamente per noi stessi, lo stiamo facendo per la specie umana, anche se non lo pensiamo in questi termini.
Per quanto si può avere una visione negativa e distruttiva del genere umano, e ovviamente non è impossibile che una strategia adattativa si riveli fallimentare portando a grossi mutamenti o addirittura all'estinzione di una specie, bisogna riconoscere che la distruttività assoluta tra gli esseri viventi non esiste. Dunque, nemmeno nel genere umano, nemmeno nelle dittature, nemmeno nelle menti di estremisti religiosi. Certamente sono presenti individui totalmente inadatti alla continuazione della specie, ma sono una strettissima minoranza, proprio perché vengono selezionati negativamente. Se un gruppo o una più complessa struttura sociale prosegue nei secoli, non importa come noi la giudichiamo, sicuramente si avvale anche della propensione degli individui coinvolti in essa nell'aiutare e nel favorire quella stessa struttura sociale. La propensione verso la continuazione, anche tramite illusioni o qualsiasi espediente che funzioni allo scopo, è presente negli individui ed essi soggiacciono alle dinamiche della propria specie. Così, volenti o nolenti, ci si ritrova ad occuparsi anche degli 'altri'.
Quanto dovremmo assecondare questa propensione per la continuazione?
Credo che sia vantaggioso per l'individuo che prenda coscienza che i propri figli, la propria nazione, il proprio partito politico, la propria associazione, la propria religione o qualsiasi gruppo o costrutto sociale in cui esso si identifica non rappresenti realmente una continuazione. Sembra banale detto così, ma dalla storia umana e dai fatti contemporanei emerge che non è affatto ovvio, ad almeno un importante numero di individui, che certe identificazioni sono semplicemente delle illusioni.
Per esempio, in Italia sappiamo che c'è un numero di individui piuttosto grande che si sente ferito se vede troppi stranieri nel proprio territorio, se giungono raccomandazioni che possono influire negativamente sulla tradizione del vino, per motivi salutari, o della carne, per motivi ambientali. Ci sono gruppi religiosi, interni e poco conosciuti, alla religione cristiana cattolica per esempio, che spingono i fedeli a sacrificarsi per essa e hanno un successo non trascurabile. Ed ancora, banalmente, gli eventi sportivi in cui i tifosi esultano per la propria squadra, come se tifare per il vincitore comportasse dei meriti per il tifoso, è un altro esempio di identificazione illusoria. Tutti questi esempi si fondano su illusioni svantaggiose per l'individuo e vantaggiose per il gruppo o la struttura sociale in cui ci si è identificati.
La società cambia, che siano stranieri o le generazioni future della stessa popolazione ad occupare in misura più o meno grande un territorio, le vecchie generazioni ne sarebbero comunque scontente, o perché usi e costumi cambiano e vengono malgiudicati (un classico intergenerazionale) oppure perché si vede una diversa cultura e si teme che la propria possa sparire, come se l'individuo non dovesse comunque morire, cioè perdere tutto in ogni caso. Le tradizioni non sono elementi culturali perfetti da conservare nei secoli a venire, anzi, spesso si scopre che alcune sono dannose o non più sostenibili, ma essendo diventate parte dell'orgoglio di certe persone, cioè parte della propria identità, si perde la capacità di metterle in discussione. Religioni ed eventi sportivi hanno poi una forza speciale nel plagiare gli individui verso scopi completamente alieni all'individuo stesso.
Consideriamo casi più complessi. Per esempio, ci sono diffusi problemi di inquinamento e sostenibilità globali. Non è chiaro quanto questi problemi possano comportare una minaccia alla specie umana, ma il solo fatto che ha senso discuterne significa che è un impatto eccezionalmente grave. Che cosa dovrebbe fare un individuo a beneficio della continuazione, in questo caso, pare proprio della specie umana? Un esempio per offrire un'idea concreta potrebbe essere: ridurre molto il consumo della carne, convivere in inverno con una temperatura in casa normalmente considerata un po' fredda (es. 18°C o meno), rinunciare ai viaggi turistici in aereo, ridurre l'acquisto di "beni spazzatura" (tutte quelle cose che dopo averle comprate finiscono presto dimenticate da qualche parte in casa o buttate), forse partecipare ad eventi di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e ad altre attività per fare pressioni politiche a favore della sostenibilità ambientale, e sono certo che la lista è lunga e complessa. Chiedere un simile impegno all'individuo, è meno sconclusionato e illusorio rispetto agli esempi precedenti, però mi rendo perfettamente conto che uno stile di vita del genere è un sacrificio enorme, quanto meno per la maggior parte delle persone.
Ma il punto di questa discussione è quanto dovremmo effettivamente assecondare questa propensione per la continuazione della specie, anche quando è evidente che l'individuo ci rimette. Come anticipavo, si tratta di trovare un giusto equilibrio. La prima cosa è chiarire bene tutte le nostre illusioni, almeno da essere consapevoli cosa stiamo cercando di far continuare, se siamo stati indesiderabilmente condizionati da una qualche struttura sociale, se abbiamo dimenticato che il nostro ruolo è temporaneo e poi moriremo, se stiamo trascurando i nostri desideri, cioè la parte più vicina alla nostra individualità, magari perché assorbiti da impegni o problemi, e purtroppo la sofferenza spinge facilmente le persone ad accogliere illusioni di ogni tipo. Alla fine, ogni individuo troverà una propria risposta a come bilanciare questo equilibrio.
Per quanto grande è l'impegno i risultati non sono mai garantiti
Una prima considerazione da fare è rendersi conto che l'individuo è molto piccolo rispetto a miliardi di altri individui, tra i quali, un numero enorme verosimilmente dissentirà rispetto alle scelte personali di ciascun singolo individuo. Governi, accordi internazionali, ma a volte anche guerre, commerciali o militari, sono vie nella storia che possono dirigere l'operato di molti individui verso una più specifica direzione. Un individuo potrebbe essere un cittadino votante, un dottore in legge, un soldato o un imprenditore, ma continuerà ad avere un ruolo molto limitato nell'effettiva direzione che prenderà la storia di un Paese e nel pianeta i Paesi sono tanti.
Questa considerazione che limita tantissimo il ruolo di un singolo individuo è comunque un caso molto concessivo, perché suppone che l'individuo sia sufficientemente benestante, ed abbia maturato con serenità un proprio pensiero, che abbia avuto la possibilità di seguire una carriera politica o giuridica o imprenditoriale o militare secondo i propri intenti, che abbia un certo livello di abilità per conseguire qualche risultato significativo. Però, per tantissimi individui nemmeno si pone questa possibilità, sono relativamente poveri per poter maturare con serenità un proprio pensiero, devono gestire problemi impellenti, per lo più legati alla sopravvivenza, oppure problemi di salute, oppure pur avendo buoni intenti non hanno le capacità per ottenere nulla di significativo o non hanno nemmeno l'intelligenza per dar forma a qualche buon intento.
In relazione ai risultati che si vorrebbero conseguire per la specie umana, occorre considerare anche l'entità dei problemi da risolvere. Questo ovviamente dipende dagli obiettivi di ciascuno e sappiamo che nella popolazione non è difficile trovare persone che negano più o meno un qualsiasi problema, o se non lo negano lo sottovalutano o lo marginalizzano, e persone all'estremo opposto pronte ad agire in modo pericoloso o illegale pur di raggiungere un qualche obiettivo connesso a quei problemi. Non mi aspetto che tutti riconoscano la seguente lista come effettivi problemi da risolvere, però sono certamente problemi ampiamente riconosciuti e fungono bene da esempi con cui spesso si ha a che fare quando si vuole contribuire a migliorare la specie umana e il suo ambiente:
- Risolvere il problema della povertà assoluta.
- Risolvere il problema dei virus e dei parassiti più pericolosi.
- Ripulire gli oceani e il ciclo dell'acqua dalla plastica e dalle microplastiche.
- Trovare soluzioni contro i parassiti delle piantagioni o contro le erbe infestanti che non abbiano l'effetto collaterale di rovinare i terreni, le falde acquifere e i fiumi.
- Potabilizzare le acque contaminate perché l'acqua potabile diminuisce più rapidamente della sua domanda globale.
- Ridurre l'emissione di anidride carbonica e ritrovare un equilibrio planetario per evitare il crescente effetto serra.
- Ridurre l'inquinamento nelle grandi città, dove la ricerca del lavoro ammassa gli individui, li espone a condizioni di salute peggiori, aumentando l'insorgenza dei tumori.
- Trovare nuovi metodi produttivi per il cibo umano e animale sostenibili ed evitare che la popolazione umana se ne avvalga e cresca a tal punto da vanificare i nuovi vantaggi conseguiti (come già successo).
- Evitare che il consumo di prodotti animali si traduca in un intenso e sofferente sfruttamento degli animali coinvolti (es. polli, maiali, mucche) o, in altri casi, evitare di andare verso il rischio di estinzione o completa alterazione di una o più catene alimentari (es. pesci nel mare).
- Trovare un approccio per controllare le nascite che non sia oppressivo ma nemmeno inesistente affinché si conservi un equilibrio tra risorse del pianeta e numero di umani.
- Trovare metodi di governo che siano democratici, resistenti alla corruzione, protetti dall'ignoranza sia dei cittadini sia degli stessi politici eletti, che agiscano maggiormente nell'interesse del bene pubblico rispetto ad interessi privati di varia natura.
- Maturare un dialogo tra Paesi e culture affinché i conflitti di interesse si possano risolvere con accordi pacifici evitando le guerre.
- Migliorare il sistema educativo e formativo affinché tutti abbiano accesso ad un'istruzione che li renda socialmente inseribili nella società e prevenga l'ignoranza che espone ad innumerevoli problemi sociali, politici, culturali, psicologici, occupazionali, sanitari, ecc.
- Bilanciare le ore spese nel lavoro e nei trasporti con le ore per il proprio tempo libero e il benessere, perché la produttività può essere positiva per il sistema economico e per le poche persone sopra una certa soglia di ricchezza che maggiormente ne traggono beneficio, ma non deve tradursi in un'oppressione di tanti cittadini che per sopravvivenza non hanno altra scelta che accettare dure condizioni.
- Maggiore garanzia di giustizia nei contratti, nei diritti e nei doveri di ciascuno, tra diverse classi sociali perché spesso protezioni politiche, cavilli, carenza di controlli, burocrazia complessa, svantaggi economici espongono molte persone ad ingiustizie dalle quali non possono effettivamente difendersi. La lista non è certamente esaustiva, però volevo delineare l'immensità dei problemi che come specie umana dovremmo affrontare. Chiaramente non è possibile occuparsi di tutto. Quindi oltre a bilanciare tra desideri personali e contribuiti per le future generazioni, è anche necessario focalizzarsi su qualche aspetto specifico.
Selezionare qualche circoscritto contribuito da offrire
Il punto precedente ci porta direttamente alla comprensione che dei tanti problemi che la nostra mente vede e riconosce, occorre selezionare qualcosa (se proprio abbiamo la propensione a voler migliorare qualche condizione per gli umani e l'ambiente in cui viviamo). Non ho elencato, perché sarebbero cose troppo specifiche, i "piccoli" problemi che può presentare la nostra città di residenza o il contesto di lavoro o persino il gruppo di amici che frequentiamo, e talvolta è assai arduo mitigare problemi anche in contesti così specifici. Cosa e come selezionare, credo dipenda dalla nostra sensibilità, dalle nostre abilità, da cosa crediamo di poter mitigare o su cui riteniamo di poter influire.
Non trasformare il proprio contributo in una "missione"
Anche se abbiamo deciso di selezionare qualche contributo e ci stiamo impegnando in quella direzione, ritengo un errore caricare di troppa importanza quello che stiamo facendo. Nei casi peggiori ci si identifica con il proprio operato (quando lo si ritiene molto importante, urgente, doveroso o qualsiasi aggettivo ne accresca l'importanza). Quando c'è questa identificazione, fallire diventa quasi sinonimo di morire. Perché magari abbiamo investito tantissimo su quell'obiettivo, magari lunghi anni di vita, e vederlo fallire è come veder "buttati" tutti gli sforzi fatti. Purtroppo, il fallimento non è un'ipotesi remota, ma proprio in relazione alla specie umana, dove l'ambito è soprattutto fuori dal nostro controllo, individualmente fallire è più probabile che riuscire. Questa consapevolezza dovrebbe incidere sul bilanciamento tra desideri personali e sacrificio per la specie umana, sottolineando l'importanza di un ampio spazio per i propri desideri personali.
Idealizzare i propri contributi è sempre pericoloso perché, come mostra la storia, ci sono stati tantissimi momenti in cui molti umani hanno creduto importante fare qualcosa ma questo qualcosa erano conversioni forzate, crociate, guerre "sante", violenza sociale per sopraffare la corrente politica opposta, sostenere idee economiche che si sono rivelate dannose, ecc. Purtroppo, non solo l'errore (che non è detto che riusciamo a cogliere) dovrebbe renderci moderati nell'impegnarci in una particolare direzione, ma anche l'intensità con cui lo facciamo. Molte convizioni estreme si tramutano in estremismi e sono sempre dannosi. Chiaramente non possiamo dubitare di tutto allo stesso modo, altrimenti saremmo incapaci di seguire una qualsiasi direzione, ma restare aperti ad una revisione, anche radicale, dei propri obiettivi; evitare di considerarli definitivi o dogmatici o "intoccabili" e l'unico modo è "non prenderli troppo sul serio". So che questo è difficile, a volte doloroso quando ci tocca da vicino, ma il punto cruciale credo sia accettare che il nostro impegno possa fallire.
Accettare che il nostro impegno possa fallire
Avevo già reso evidente che i risultati a favore della specie umana non sono mai garantiti, ma nel caso in cui ci focalizziamo su un "piccolo" obiettivo, potremmo essere portati a volerlo vedere realizzato a tutti i costi. Questa è purtroppo la base di ogni fondamentalismo violento. Sarei lieto di poter dire che è una rara eventualità, ma tutt'oggi ci sono guerre, violenze fisiche, bullismo, repressioni individuali, proprio basate su prevaricanti idee di nazione, o tradizioni e rituali incompatibili con la salute fisica, o modelli sociali che si rafforzano colpendo e denigrando chi si discosta da quel modello, o convinzioni religiosi che colpevolizzano aspetti naturali dello sviluppo umano. Insomma, ad ogni livello sociale si ritrovano convinzioni perseguite ciecamente che si traducono in varie forme di oppressione e violenza.
Spesso, le persone coinvolte nel sostenere queste forme di violenza credendo di fare qualcosa di accettabile o addirittura giusto, non sono appunto consapevoli di quanto sia errato il loro operato e di tutta la sofferenza che causa. Senza arrivare ad esempi estremi, che è bene comunque tenere a mente, ancora più difficile è capire la bontà di un contributo più modesto. Per fare qualche esempio: solo energie rinnovabili ordinarie o centrali nucleari? dovremmo rallentare l'attività produttiva immediatamente per allinearci alle risorse ambientali? la scuola dovrebbe istruire sulle identità di genere e gli orientamenti sessuali? Per ognuna di queste questioni, ci sono forti convinzioni ai due estremi opposti e feroci dibattiti.
Specialmente quando crediamo che il nostro punto di vista è corretto, è molto difficile accettare il fallimento. Però, i fatti con cui ci scontriamo quotidianamente (nonché tanti fatti storici) mostrano che il fallimento è sempre dietro l'angolo. Questo è amaro da digerire, però credo anche che indica un metodo migliore di proporre qualcosa senza il rischio di sfociare in violenza. Quando ci impegnamo in qualcosa dobbiamo evitare di trovare il modo di imporla perché si tradurrà sicuramente in qualche forma di violenza che farà danni. Dobbiamo piuttosto proporla e dare la possibilità che sia scelta. Questo implica che potrà essere anche non scelta, da cui è necessario accettare fin dall'inizio il fallimento. Però, se venisse scelta, magari dopo altre strade percorse e rivelatesi infruttuose, quando sarà scelta, avrà una presa molto più forte che il tentativo di imposizione.
La vita sul pianeta è verosimilmente temporanea
A rinforzare l'accettazione verso il fallimento, quando si parla di obiettivi per le generazioni future o per la specie umana, bisogna anche accostare il fatto che non "lottiamo" mai per qualcosa di eterno. Per quanto ne sappiamo, un meteorite potrebbe portare ad una nuova estinzione di massa; accettare i fallimenti come specie umana significa accettare che possa esserci una nuova guerra mondiale che magari rischia di essere l'ultima; sappiamo che il Sole prima o poi si spegnerà, i viaggi interstellari sono estremamente improbabili, ma prima o poi tutte le stelle si spegneranno. Tornando a tempi meno astronomici ma comunque lunghi, l'homo sapiens sapiens non è sempre esistito e verosimilmente non sarà la forma definitiva dell'intelligenza sulla Terra. Magari un altro salto evolutivo dopo disastri climatici fortemente selettivi ci attende o forse saremo noi stessi a causarlo con l'ingegneria genetica. Chissà? Di certo non è nelle mani di nessun individuo, ma nelle mani della specie stessa. Quel che voglio dire è che nel lungo periodo il "fallimento" rispetto ai nostri piani o ad una nostra "visione del mondo" è destinato ad essere completamente sconvolto, in modi che magari nemmeno immaginiamo. Inoltre, nei contesti in cui otteniamo un successo, il successo sarà per una prospettiva, magari lunga, ma temporanea. Questo dovrebbe rendere un po' più leggero accettare il fallimento.
Gli errori possono durare secoli o millenni
Per millenni la schiavitù è esistita come un dato di fatto, così come per lunghi secoli le religioni hanno contribuito a diffondere idee superstiziose e richiedere sacrifici che oggi riteniamo primitivi e che nemmeno le religiosi stesse si aspettano più (es. sacrifici animali o pene corporali). Purtroppo, questo è il tipo di fallimento umano che la storia ci mostra e non si è mai "salvi" da lunghi o lunghissimi periodi di errore. Facile dire che si è contro la schiavitù, ma immaginarsi nel periodo storico dove questa cosa è la norma e lo sarà ancora per millenni, in che modo potrebbe portarci ad agire? Magari essendo gentili con i nostri schiavi, se ne avessimo avuti; magari sostenendo iniziative in cui uno schiavo ha la possibilità di diventare libero; magari quando possibile offrire una visione del mondo dove ogni umano ha la stesse possibilità. Insomma, azioni più piccole rispetto alle nostre convinzioni che si scontrano con quelle della maggioranza e che sono più destinate al fallimento che al successo. Realisticamente è così che dovremmo sempre agire quando decidiamo di occuparci di un contributo a beneficio delle generazioni future o dell'ambiente.
Se non stiamo bene noi, non ha senso dedicarsi ad obiettivi più grandi
Tornando al focus iniziale, su come bilanciare l'impegno per i nostri desideri personali e quelli della specie umana. Ritengo che la priorità vada posta sui bisogni personali. Verosimilmente se questi non sono soddisfatti, non siamo nelle condizioni di occuparci di obiettivi certamente più complessi. Ritengo anche però, che uno spazio, seppure minimo, verso il miglioramento dell'esistente a beneficio delle generazioni future dovremmo cercare di ritagliarlo. Questo tipo di riflessione così approfondita non è la norma per la mente media e verosimilmente deve esserci uno svantaggio evolutivo per le persone eccessivamente riflessive. Però, se paradossalmente tutti seguissimo i nostri desideri nella pessimistica convinzione che tanto tutto si estinguerà, certamente aggraveremmo le condizioni ambientali sia fisiche che culturali e avremmo una società sempre più spiacevole in cui vivere. Ma come detto all'inizio devono esistere delle forti pressioni evolutive, per cui, in qualche modo, ci ritroviamo (non tutti) istinti empatici, collaborativi, desideri idealistici di fare qualcosa di più giusto rispetto a qualcosa di più sbagliato, ecc. Purtroppo, questi istinti si mescolano con l'ignoranza, culture problematiche nelle quali si è stati cresciuti, ridotta capacità di gestire informazioni complesse (e oggi giorno tutto è complicatissimo), e quindi anziché sfociare in qualcosa di buono, spesso questi istinti sfociano in idealismi dannosi, iniziative ingenue o, quando giunge il fallimento, in vittimismo e penso anche complottismi.
Avere una visione ampia di ciò a cui possiamo andare incontro; di ciò che potrebbe agire in noi e che dunque agisce in molti altri nostri simili, come istinti cooperativi e la ricerca di condizioni collettive migliori; i frequenti rischi di errori e fallimenti; l'approccio più fragile ma realistico di offrire una proposta accettando il fallimento, piuttosto che cercare i mezzi di imporla; può suggerirci individualmente il giusto equilibrio da mantenere tra il tempo speso per se stessi e il tempo dedicato ai tentativi di migliorare l'esistente in vista di un futuro migliore per la specie umana.
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